La tavola rotonda “Abitare il nostro tempo. Cittadinanza e impegno dei cattolici” proposta dalla Commissione per il laicato della Cel è stata sabato 8 maggio anche una occasione per ascoltare, tra i relatori, Padre Francesco Occhetta, gesuita e animatore dell’associazione Comunità di Connessioni.
“La politica è la forma più alta di carità, seconda solo alla carità religiosa verso Dio”. Così Pio XI si rivolgeva agli universitari riuniti in udienza in Vaticano nel 1927. Una frase ripresa spesso dai suoi successori sul soglio di Pietro, in ultimo anche da papa Francesco.
Difficile oggi di fronte a una affermazione simile reprimere un moto di diffidenza, avvezzi come siamo a definire politica anche forme varie di avanspettacolo, difesa di interessi personali e personalismi rilanciati a suon di like sui social.
Occhetta ha ricordato invece come proprio in uno scenario post pandemico l’Italia negli anni Venti – piegata oltre che dalla epidemia di spagnola anche dalla recente guerra mondiale – abbia reagito in modi opposti alla crisi. Riempiendo il vuoto con parole di odio, come fece Mussolini. O scegliendo di costruire sulle parole di speranza, come fece Luigi Sturzo.
Una speranza da intendersi – nella citazione di Aldo Moro, scelta opportunamente da Occhetta – come “la certezza delle cose future”.
In concreto, padre Francesco ha sottolineato la necessità di individuare dei luoghi dove le buone pratiche che già esistono sul territorio possano fare sintesi. Puntando sulla valorizzazione delle competenze “ben al di là degli slogan: soluzioni inclusive, pulite, luminose”.
Con la determinazione di rilanciare “la dimensione del centrismo politico”, non nell’accezione di un nuovo partito di centro ma come “una metacategoria”, una “griglia con i principi della dottrina sociale della chiesa in verticale e quelli della costituzione in orizzontale”. Una sorta di rete che – ha spiegato l’ideatore di Comunità di Connessioni – “permetta di far passare tutto ciò che è democratico e fermare ciò che non lo è. Una grande area popolare che riprenda dal metodo sturziano la capacità di mediazione, interclassismo, europeismo”.
Accettando di essere solo un seme. Perché “il mondo lo hanno cambiato le piccole comunità”. Consapevoli però che “la forza del seme può spaccare l’asfalto, quando germoglia”.