Tra gli articoli della nostra Costituzione più spesso citati nelle discussioni legate all’attualità internazionale c’è sicuramente l’articolo 11, discussioni tanto più attuali e scottanti quando riguardano concretamente la nostra risposta e il nostro coinvolgimento. La decisione dell’Italia di partecipare alla iniziativa europea internazionale di aiutare -anche inviando armi- gli ucraini a difendersi da quello che a oggi è un massacro senza alcuna possibilità di mettere le due parti sullo stesso piano ha riaperto la discussione soprattutto da parte di quanti stanno organizzando iniziative per la pace. L’articolo 11 -come è noto- afferma con chiarezza che “L’Italia ripudia la guerra”, ma a questa affermazione non segue un punto. La frase completa è “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, questo è il perimetro interpretativo: rifiuta la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli -e in questo caso evidentemente l’iniziativa italiana e internazionale è volta alla difesa di un altro popolo- e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali -e nessuno può definire quello che sta avvenendo in Ucraina una controversia internazionale, è in corso una guerra feroce. 

Si può ovviamente essere contrari alla decisione presa e considerarne altre migliori, ma far derivare questa posizione direttamente dalla Costituzione mi sembra una forzatura. Non è solo una mia interpretazione, Giovanni Maria Flick -costituzionalista al di sopra di ogni sospetto, già presidente della Consulta e ministro della Giustizia- non ha dubbi: “Stiamo aiutando un Paese a esercitare la legittima difesa. Non è un’operazione strettamente bellica. Il confine fra i due concetti è esattamente definito“; e alla domanda se l’articolo 11 della Costituzione sia rispettato risponde: “Sì, perché non c’è un atto ostile contro uno Stato estero. Ci si muove nell’ambito di un trattato Nato, siamo al di fuori dell’ambito della guerra che dobbiamo ripudiare”. 

Tutti siamo per la pace, tutti vorremmo la pace, tutti ripudiamo la violenza. E’ però forse troppo facile (e -in fondo- poco costoso) continuare a ripetere come un mantra che “siamo per la pace” senza la fatica di coniugare questo nostro desiderio con la realtà che -nostro malgrado- abbiamo davanti. E’ troppo facile sognare un mondo di pace eludendo la fatica della mediazione e rifiutando qualunque compromesso. E’ troppo facile riaffermare il valore senza riuscire a tenere distinta la purezza del principio dalla inevitabile impurità del quotidiano.  

Perché è importante che riusciamo a distinguere ciò che vorremmo da ciò che è? E’ importante perché il nostro impegno di cittadini (della città e del mondo) non si esaurisce nel capire e definire -a bocce ferme- quale sarebbe la soluzione ottimale in termini di principio, quello che ci viene chiesto è di avere il coraggio di decidere -qui ed oggi- cosa dobbiamo fare praticamente per ottenere il miglior risultato possibile (e farlo). Le due cose non sono affatto in contraddizione e sono importanti entrambe: ribadire i valori in cui crediamo (quindi i convegni, gli approfondimenti, le fiaccolate, i gesti simbolici…) e operare concretamente per incidere sulla situazione in atto (aiutare direttamente o indirettamente le vittime, promuovere e favorire negoziati, diminuire i disagi sofferti, cercare le mediazioni possibili). Servono entrambe le componenti: la purezza del punto d’arrivo finale e la concretezza delle tappe parziali.

C’è poi una “regola aurea” che deve guidare il nostro intervento nelle situazioni difficili. Chiediamoci sempre: dobbiamo preferire quello che più soddisfa la nostra esigenza di coerenza o quello che vorremmo se fossimo noi al loro posto? Se io vivessi in Ucraina e fossi sotto le bombe… che effetto mi farebbe sentirmi dire che molti amici vorrebbero aiutarmi a fermare la sopraffazione di cui sono vittima, ma non possono farlo perché loro sono per la pace?

Si, lo so che è un discorso duro, ma la guerra è una tragedia e la pace una fatica, non siamo in salotto.