?E? desiderabile che l?organizzazione dell?impresa sia fondata sulla partecipazione dei lavoratori piuttosto che su comando e obbedienza residui dello schema fordista?.
Sono le considerazioni che ho elaborato all? incontro seminariale sul tema della partecipazione dei lavoratori all?impresa promosso nel pomeriggio di martedì 24 novembre, presso la sede ABI, promosso da ALE (Associazione per lo studio nelle materie di lavoro ed economia), con coordinamento di Massimo Mascini e una introduzione di Raffaele Del Vecchio. Sono intervenuti dirigenti di sindacati dei lavoratori e di associazioni imprenditoriali.
La prima esigenza è che i lavoratori e loro rappresentanti siano informati sugli affari e sui programmi dell?impresa perlomeno secondo le regole della prima parte dei contratti.
Già questo è molto difficile alla luce del fatto che neppure gli azionisti sono adeguatamente informati, ma trattati, appunto, come ?parco buoi?.
Non si avrà il fenomeno di management aziendali innovativi al punto di essere loro a proporre schemi efficaci di partecipazione dei lavoratori se non per via strumentale come si è già visto.
Ne? si potrà avere un sistema di partecipazione che sia il risultato di una lotta sindacale.
O matura in tutti i protagonisti la convinzione della utilità e convenienza di un regime partecipativo oppure non se ne può fare niente. Deve intendersi che una partecipazione che si concretizzi in reale esercizio di potere condiviso va insieme alle conseguenti corresponsabilità.
Lo Stato e la politica possono dare una mano con la fornitura di un quadro di regole ed incentivi, non possono imporre nulla. Resta valida l?osservazione di Walesa: non si può imporre la felicità con la violenza.
Va evitata la confusione e il diversivo secondo i quali quote più o meno rilevanti di retribuzione aziendale legate ad obiettivi e produttività darebbero luogo alla partecipazione o potrebbero essere il grimaldello per generarla. Sono soluzioni che possono andare bene; possono aiutare un processo; non possono costituire un surrogato risolutore.
Va accettata una pluralità di soluzioni. E? il tempo dei ?cento fiori? coltivandoli dove le condizioni politiche ne possono favorire la crescita. I buoni esempi potranno trascinare il resto; mentre i cattivi esempi possono affossare l?intero processo. E? stato un fiasco perfino il Protocollo Iri che evidentemente non si fondava su una volontà reale delle parti. I casi più recenti quali Altalia e Banca Popolare di Milano non sembrano prestarsi quali esempi di buone pratiche.
Si può immaginare un sistema di partecipazione nelle realtà territoriali per esempio delle ?aree sistema?? Uno sviluppo di buone relazioni sarebbe già un bel progresso.
La partecipazione vera ed efficace si dimostra difficile anche nelle Cooperative. Mentre nelle piccole cooperative la cosa sembra funzionare, quando sono vere cooperative, in quelle grandi la cosa è molto problematica. Meriterebbe un ragionamento.
Vanno messi al bando gli imbrogli che rischiano di sputtanare tutto il ragionamento. Il caso più clamoroso è costituito dai ?Contratti di Associazione in Partecipazione?.