Chi non ricorda la sensazione meravigliosa di stare con le coperte rimboccate fin sul naso, mentre qualcuno ci accompagna nel sonno con racconti epici, immagini di castelli dorati e draghi sanguinari?
Era il potere delle immagini, questo straordinario anestetico mentale, che ci cullava da bambini nella quiete, annullando in pochi minuti (e fino alla sera successiva) la paura del buio, dell’incubo, della prova scolastica dell’indomani.
La più grande intuizione della politica degli ultimi –almeno- sedici anni è stata, come notava Amedeo nella ultima news, capire che quel bambino in noi non è affatto scomparso. E quindi sceglierlo quale interlocutore privilegiato, se non esclusivo, tra le nostre identità molteplici.
Non sembrerebbe una grande novità, è vero. Lo si fa da sempre in poesia, ancor più nella sfera dei sentimenti (basti pensare al genere di vezzeggiativi con cui ci si rivolge al partner).
Ma in politica, in politica no. Esiste il piano delle emozioni, certo. E insieme quello dei conti, dei bilanci da scrivere, delle misure legislative da adottare. Delle strade e dei ponti. Roba impoetica, da riunione di condominio del giovedì sera.< BR> E allora?
Ha iniziato Berlusconi a parlare in maniera programmatica al bambino latente che ha ancora voglia di essere ninnato e contempla le luci di Natale attraverso i lucciconi. E giù, a pescare a piene mani nel lessico che si usava nelle lotte all’asilo: noi contro loro, ce l’hanno tutti con me, il bene contro il male, il partito dell’amore…
Il tutto corredato, finché l’allestimento scenico ha retto, da immagini tiepide e rassicuranti. Le caprette nel parco di Macherio, il re che odora pensoso un ciclamino, la famiglia bionda e sorridente. Ultimamente il repertorio ha virato in direzione di un altro tipo di immagini sempre relative, seppure in modo diverso, al mondo dell’infanzia. Alla sfera del bambino cattivo, direbbe Amedeo: le nipotine di Mubarak, le risate attivate con il pulsante, le solite mille luci del Drive in…
Parlare allo stomaco, per non dire al mix pancia-basso ventre, è più breve, agile e richiede una minore esposizione sul contenuto effettivo delle proposte. Con una resa, come capacità di coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore, stupefacente: la risposta è immediata, quanto istantanea (subito si consuma, subito va risollecitata).
Ma il ricorso alle definizioni brevi, alle immagini d’impatto, è un fenomeno trasversale.
Perché la Lega ce l’ha duro.
Veltroni in braccio a Benigni come già Berlinguer, è la differenza della sinistra.
Casini cita Gargamella, il villain dei “Puffi” (a proposito del padano Umberto, Corriere.it, 1 agosto 2010).
Fino a Vendola, che del linguaggio figurato ha fatto un manifesto elettorale (“La poesia è nei fatti”), molto apprezzato dagli elettori (sul tema, vale la pena di visitare il blog di Giovanna Cosenza, docente di Semiotica dell’università di Bologna).
Non sarebbe in sé un fenomeno nefasto. Evviva la creatività, il pensiero laterale, l’inventiva.
Se restano strumenti, al servizio di proposte ragionate e attuabili. Perché se si vince, è soprattutto della riunione di condominio del giovedì sera che dovremo parlare. Evitando, si spera, di prenderci a capelli.
Parlare per immagini funziona. Solletica il bambino che è in noi (e permette a volte di tagliare sui contenuti)