Il governo italiano ha proposto nel 2003, per volontà del Vice Presidente del Consiglio Giancarlo Fini, una legge che parifica la pena per lo spaccio e la detenzione di droghe pesanti con quelle leggere.
In questa legge vengono stabilite delle durissime pene amministrative, per chiunque possieda una qualsiasi quantità di qualunque tipo di droga.
Inoltre il possesso di qualsiasi stupefacente, oltre una quantità stabilita dalla legge, viene considerato d?ufficio come spaccio e perciò perseguibile penalmente, con una pena massima, che va dai 6 ai 20 anni, mentre attualmente la carcerazione prevista va dai 2 ai 6 anni. In questo senso, però, la quantità di stupefacente considerata illegale varia a seconda del tipo di droga: 500 milligrammi di cocaina, 200 di eroina, 300 di ecstasy, 250 di thc (il principio attivo presente nella cannabis).
Queste quantità sono particolarmente basse, quindi un numero enorme di persone potrebbe essere a rischio carcerazione. C?è da precisare, però, che per reati considerati di lieve entità, i giudici potrebbero applicare la pena minima, che varia da 1 a 6 anni; mentre quella attuale oscilla dai 4 mesi ai 4 anni.
Questa parificazione penale prevede, poi, per il reato di spaccio e detenzione illegale di eroina, la riduzione della pena minima, che dagli attuali 8 passerebbe a 6 anni. Questa scelta politica potrebbe comportare una maggiore diffusione delle droghe pesanti, in quanto a parità di pena, il loro spaccio é molto più redditizio di quello delle droghe leggere.
C?è da aggiungere, inoltre, che il commercio di hashish passa progressivamente nelle mani dei coltivatori marocchini, i quali danno il loro prodotto ai parenti immigrati in Italia, che poi si occupano di distribuirlo localmente, mentre quello di eroina e cocaina rimane saldamente nelle mani della mafia.
Per i tossicodipendenti, secondo questa proposta, l?unico modo di evitare il carcere è quello di sottoporsi ad una cura nelle cosiddette case terapeutiche, i cui metodi non sono ancora per tutte certificati; infatti talvolta essi rappresentano dei sistemi empirici, adottati da un personale non specializzato.
La proposta Fini è avvalorata da un documento del Consiglio Superiore della Sanità (CSS) (i cui membri sono medici nominati in maggior parte dal ministro competente in materia), stilato dal farmacologo Silvio Garattini, alla fine del 2003. Le tesi di Garattini affermano che “l’uso della cannabis è gravato da pesanti effetti collaterali quali dipendenza, possibile progressione all’uso di altre droghe quali cocaina e oppioidi, riduzione delle capacità cognitive, di memoria e psicomotorie, disturbi psichiatrici quali schizofrenia, depressione e ansietà; possibili malattie broncopolmonari tra cui bronchiti croniche ed enfisema”. Queste tesi contrastano però con moltissimi studi sulla canapa indiana, condotti tra la fine del XIX secolo ad oggi, si pensi al rapporto nel 2002 del NIDA, l?istituto governativo Usa per le tossicodipendenze. In questo documento viene stilata una classifica di pericolosità delle diverse droghe, assegnando un punteggio più basso a quelle più dannose e uno più alto a quelle che lo sono di meno. La classifica risultante è la seguente: 9 punti per l?eroina, 12 per l?alcool, 15 per nicotina e cocaina, 27 per caffeina e marijuana.
Inoltre uno studio del NIDA, tra il 1982 e il 1992, constata che l?uso eccessivo della cannabis non causa la depressione, ma anzi è la depressione che spinge a questo consumo smodato. Lo studio prende in considerazione dei gruppi di adolescenti che consumano frequentemente la cannabis ed altri che non ne hanno libero accesso (comunità ristrette, piccoli paesini, studenti domiciliari). In entrambi i gruppi si registra un?incidenza della depressione del (3-4%), quindi il 95% dei grandi consumatori di cannabis non presentano sintomi di depressione.
Per quel che riguarda la schizofrenia, molti studi scientifici rilevano da decenni che essa sorge al massimo tra gli 8-10 anni e per tanto difficilmente è provocata dalla cannabis.
Il NIDA e la rivista più antica del mondo, The Lancet, considerano la canapa indiana, con lo stesso livello di nocività di the e caffè, mentre il New Scientist e la Commissione Reggiani, del parlamento francese, propendono per una maggiore nocività della caffeina rispetto a questo stupefacente.
Il proibizionismo storicamente riscuote spesso risultati controproducenti, come durante gli anni venti negli Usa. Il governo americano impedendo penalmente l?uso e la diffusione di alcool, né favorisce di fatto il commercio illegale, a tutto vantaggio della mafia, che né egemonizza il mercato. In questo periodo, poi, il tasso di alcoolismo della popolazione americana aumenta, al posto di diminuire, ed è proprio per la sua inefficacia che nel 1929, questa legge viene ritirata.
Tutte queste considerazioni illustrano come sia importante, per i genitori e la società in genere, sforzarsi di capire i bisogni e le difficoltà di molti giovani, più sensibili e fragili, verso una società consumistica e altamente competitiva, che spesso appiattisce i valori e le individualità. In questo senso non aiuterebbe una politica estremamente repressiva, condotta in modo così indiscriminato, perché le conseguenze sugli eventuali trasgressori potrebbero essere eccessivamente pesanti. Questo infatti significherebbe che un fumatore di cannabis, che consumi una quantità leggermente superiore a quella consentita dalla legge, possa di fatto essere coinvolto in un procedimento giudiziario che ne macchi la fedina penale a vita. Una simile azione indurrebbe questo condannato, una volta scontata la pena, a notevoli difficoltà d?inserimento sociale, esponendolo così maggiormente al pericolo della droga.
Una scelta politica proibizionista: la cannabis è considerata penalmente allo stesso modo delle droghe pesanti.