La campagna di Storace lancia lo slogan: ?io non torno indietro?. Nella sanità del Lazio però tornare indietro significherebbe fare un enorme balzo in avanti. Mille esempi di mala sanità in questi cinque anni si potrebbero fare, ma mi limito a richiamare una notizia di questi giorni: la decisione presa dal Crusam di scorporare le attività di pronto soccorso psichiatrico dalle competenze territoriali e passarle al 118. Questo fatto, che ha suscitato forti e giustificate reazioni da parte di alcune associazioni, ha costituito l?occasione per far conoscere ai cittadini lo stato dell?assistenza psichiatrica nella Regione Lazio: poco più di mille operatori, con una carenza di organico di circa il 50%, per rispondere ai continui bisogni delle oltre 32.000 persone che vivono problemi di natura psichiatrica.
E? così finalmente apparsa in tutta la sua drammaticità una situazione precaria che evidentemente finora non è collassata solo grazie alla professionalità e all?impegno degli psichiatri, psicologi, assistenti, infermieri e volontari che lavorano in questo settore dove, vale la pena ricordarlo, non servono macchinari o tecnologie ma contano esclusivamente le competenze e le doti umane. E chiaramente il tutto si è retto anche grazie alla disponibilità e alla pazienza sia dei cittadini interessati sia dei loro familiari.
Fino a che punto si può pensare di abusare della pazienza di persone che vivono in modo diretto o indiretto un disagio e del valore degli operatori che lavorano per alleviarlo?
Ed ora, la decisione di rompere il continuum curativo territoriale ? fondamentale per questo tipo di affezioni – facendo intervenire professionalità esterne.
Non è questa la sede per affrontare un discorso così complesso e delicato, tuttavia ci troviamo di fronte ad un modello di gestione regionale dell?assistenza psichiatrica che lascia come minimo perplessi. A cosa si ispira? Ad un obiettivo di risparmio economico fondato su un progetto di ottimizzazione delle risorse destinate alla sanità? Che tradotto equivarrebbe a dire: va bene, siete trentamila, con i vostri cari arrivate al massimo a centomila, siete poca cosa in percentuale rispetto agli altri, accontentatevi di quello che vi passiamo? Ma come si può seriamente pensare di risparmiare in un settore che porta assistenza a chi soffre o vive un forte disagio?
Questa serie di scelte chiama in causa sia il Diritto di Cittadinanza sia le modalità nelle quali esso viene attualmente declinato dal governo regionale.
Essere cittadino vuol dire avere la possibilità partecipare e godere di una rete di relazioni umane, sociali e istituzionali dalla quale ottenere benessere, inteso nel senso più ampio del termine. E? proprio questo il nostro compito di cittadini: contribuire alla crescita e al benessere della collettività. E le Istituzioni preposte hanno il dovere, d?ufficio prima, etico e morale poi, di agire affinché questo benessere sia garantito soprattutto a quanti o per età o per condizione economica, sociale, psicofisica, non riescono con le proprie forze a raggiungerlo.