Proseguiamo il nostro viaggio verso la chiarezza sullo stato di salute del nostro amato Paese: oggi rifletteremo un po’ insieme sul problema dell’immigrazione. Lo facciamo “a quattro mani” perché sul tema riteniamo di avere una perfetta identità di vedute (che, per la verità, non sempre contraddistingue i nostri dibattiti).

Anche qui partiamo da un enunciato chiaro: l’immigrazione clandestina, appunto perché clandestina, è un reato e come tale va prevenuto e represso. Crediamo che non ci possano essere dubbi al riguardo ma anche che il problema di cui si debba discutere non sia questo.

Il problema non è infatti se prevenire o reprimere un reato, ma di domandarsi se nella definizione formale di tale reato si siano utilizzati dei criteri rispondenti alle reali condizioni macro-ambientali ed economiche in cui si svolgono i fenomeni migratori nel mondo, alle esigenze del Paese e agli elementari principi di umanità che devono presiedere alla distinzione fra ciò che è reato e ciò che non lo è.

In termini più concreti, nel caso specifico, occorre domandarsi se i criteri assunti nella legislazione vigente per la definizione della clandestinità rispondano a tali requisiti (di realismo, di utilità per il Paese e di umanità); ed ancor più, se i concreti comportamenti della pubblica amministrazione che presiede al rilascio dei permessi di soggiorno siano poi tali da mantenere al fenomeno delle immigrazioni le giuste connotazioni di realismo, di utilità e di umanità che la legislazione abbia voluto per esso.

Non è questa la sede (né sentiamo di averne le competenze necessarie) per stabilire se ciò avvenga nella vigente regolamentazione delle immigrazioni e nei comportamenti attuativi concreti (per la verità abbiamo qualche dubbio e non siamo i soli ad averne; vedasi, fra gli altri, Censis, Rapporto 2009). Ci preme invece fare alcune osservazioni sui criteri che dovrebbero inquadrare il fenomeno in discorso.

Anzitutto parliamo di fenomeni migratori in generale: non c’è dubbio che alla base dei movimenti migratori ci siano ragioni economiche (povertà, insufficienza di risorse, disoccupazione, etc;), demografiche (i tassi di crescita delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo, PVS, non sono compatibili con quelli delle rispettive economie) e culturali (la scolarizzazione che si va sviluppando in alcuni PVS apre ad aspettative che la realtà locale non può che deludere, lo sviluppo delle comunicazioni lascia intravvedere al di là dei confini società apparentemente opulente, etc); e ciò, senza considerare le motivazioni politiche (contesti in guerra, persecuzioni etniche, etc) che spesso motivano più che alla migrazione alla vera e propria fuga dal proprio pease.

L’entità e la natura di tali ragioni non lasciano prevedere significative ed imminenti inversioni di tendenza: basti pensare che si stima (Caritas / Migrantes: XIX rapporto sull’immigrazione, Dossier statistico del 2009) che l’85% della popolazione del mondo disponga del 46% della ricchezza mondiale; che le persone che soffrono la fame sono arrivate a sfiorare il miliardo; che le persone in fuga da guerre e persecuzioni (42 milioni) ammontano a poco meno dell’intera popolazione italiana. Ciò porta a ritenere che con ogni probabilità il fenomeno delle migrazioni non sia destinato a rientrare nel prossimo ventennio: si stima (ibidem) che nel 2025 la popolazione Europea sarà calata di 38 milioni di persone e quella africana cresciuta di un miliardo.

Dunque le condizioni macro-ambientali economiche impongono che ci si occupi fattivamente del problema (“La quota di stranieri è destinata a crescere rapidamente e con essa la quota di giovani residenti con origini straniere”, Ignazio Visco, Investire in Conoscenza, il Mulino, 2009)

Veniamo poi al criterio di utilità per il Paese: la popolazione del nostro Paese è ormai di più di 60 milioni (60,4 per l’esattezza, secondo i dati Istat stimati al 1° gennaio 2010), di cui il 7,1% (4,3 milioni) sono stranieri (poco meno che nel Regno Unito ma meno che in Spagna ed in Germania; ma nei Paesi a più antica tradizione migratoria esistono vasti strati di cittadinanza di origine immigrata, cioè persone con nonni o genitori immigrati, che in Francia, per esempio, raggiungono il 23% e in Germania il 18%). L’età media degli stranieri però è di 31 anni contro i 43 degli Italiani (Caritas/ Migrantes, cit. ), come è facile intuire pensando alla tipologia del migrante.

Il meccanico invecchiamento dei nati nel dopoguerra, la progressiva riduzione dei tassi di natalità degli italiani e il secolare miglioramento delle speranze di vita (circa 2 anni in più ogni decennio) farebbero dell’Italia un Paese in inarrestabile declino se non fosse per “l’apporto di gioventù” che proviene dall’immigrazione: “non è difficile descrivere lo scenario alternativo in cui non si realizzassero i flussi migratori ipotizzati (per i prossimi 40 anni): il rapporto fra la popolazione con oltre 65 anni e quella in età di lavoro salirebbe fino al 75%, dal 61% dello scenario con immigrazione; la quota di persone in età da lavoro (tre i 15 e i 64 anni) scenderebbe al 50%; poco più di un decimo della popolazione avrebbe meno di 15 anni” (Ignazio Visco, ibidem); con effetti disastrosi dal punto di vista economico e sociale.

Gli immigrati producono in Italia quasi il 10% del PIL, costituiscono il 9% degli imprenditori operanti in Italia ed hanno attivato il 14% delle compravendite nel mercato immobiliare italiano (Censis, Rapporto 2009).

Dunque, l’Italia, al pari di ogni altro Paese progredito, ha necessità dell’immigrazione e quindi di accompagnare e gestire il fenomeno che si genera nel macro-ambiente economico mondiale; ma, si dice, l’immigrazione porta criminalità: non esiste nessuna prova che ciò sia vero. Chi non ci crede, si vada a vedere il rapporto fra crimini denunciati e permessi di soggiorno (Tito Boeri: Immigrazione non è uguale a criminalità, in Lavoce.info 2.2 2010) o l’ancora più analitico dossier messo a punto, col consueto rigore metodologico, dall’Ufficio Studi della Banca d’Italia, Temi di discussione, Dicembre 2008). Il resto è chiacchiera mediatica utilissima in periodi elettorali ma non confortata da nessuna seria evidenza statistica (si veda: Paola Lanzarini: Come ti cucino in TV la notizia di un reato, in Lavoce.info, 17.2.09, dove si mette a raffronto la sostanziale stabilità nel tempo del numero dei reati con l’impressionate attenzione che alle notizie di essi viene data in periodi preelettorali).

Ed infine parliamo di rispondenza delle varie discipline legali del fenomeno ai criteri di umanità che costituiscono o dovrebbero costituire i canoni ispiratori delle legislazioni e dei comportamenti.

Qui entriamo in un campo più opinabile, nel quale fatalmente noi siamo portati ad assumere il punto di vista di quella straordinaria esperta di umanità che è la Chiesa, coi suoi valori e i suoi principi: i testi non mancano (dalla Populorum progressio alla Caritas in Veritate, solo per stare ai testi più recenti); basta leggerli per capire che cosa voglia dire nel mondo moderno guardare all’uomo come fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Quando pensiamo a tante violenze verbali usate nei dibattiti sull’immigrazione nel nostro Paese che per decenni (fino a cinquant’anni fa) ha alimentato di povere braccia semi-analfabete l’emigrazione in terre straniere (dagli USA alla Germania, al Lussemburgo, al Belgio, etc) ci viene in mente il monito biblico: Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto.

Qualche conclusione, per essere chiari:

• nessuna polemica sulla repressione dell’immigrazione clandestina: se è un reato va prevenuta e repressa, con rigore, intelligenza, civiltà, misura e, comunque, rispetto per chi si sradica dal proprio paese e si affida con speranza ad avventure anche tragiche;
• la massima pressione per una legislazione urgente ed illuminata che tenga conto della natura dei fenomeni migratori, della loro necessità per il nostro Paese, del nostro patrimonio di umanità e di civiltà (scrive il Censis nel suo Rapporto 2009, al capitolo: Viaggio attraverso le regolarizzazioni: “a partire dall’ineluttabilità dei flussi migratori e considerando anche gli indubbi benefici che ne derivano al nostro sistema economico e sociale, occorrerebbe trovare risposte più convincenti e durature al problema, nonché ripensare molti aspetti del sistema che regola l’immigrazione nel nostro Paese”);
• infine una domanda a noi stessi: che cosa ci rende così sciocchi da imbarbarire di propaganda e di volgarità la comprensione e la gestione di un tema così delicato per il nostro futuro? Quale è, non diciamo la finalità strategica, ma semplicemente il banale interesse che abbiamo ad inasprire il rapporto con questo flusso di giovane sangue che può rinvigorire il nostro stanco Paese?