Chi ha una certa età, non più … giovanissima, e , per di più, è abituato a distinguere fra Verità (con la iniziale maiuscola) e verità (con la minuscola) sa bene che anche l’uso di quest’ultima parola non è esente da enormi rischi e lo rifugge, quando possibile, soprattutto quando presume di poter riferire la verità alle proprie opinioni.
Con tutta l’umiltà del caso, quindi, cercherò di dar seguito al mio articolo del 27 febbraio (La sferza) facendo alcuni esempi delle cose che mi piacerebbe fossero dette agli italiani con intenzioni se non di verità almeno di chiarezza.
Cominciamo,dunque, dal più difficile degli esercizi di chiarezza; difficile, perché correlato ad una entità per molti misteriosa eppure per tutti incombente e, per il Paese, condizionante e minacciosa: la questione del debito pubblico.
Come è a tutti noto, l’Italia è gravata da un’ingente mole di debito pubblico, pari quasi ad 1,2 volte il PIL, il Prodotto Interno Lordo ovvero la somma di tutti i valori economici prodotti dal Paese in un anno; e ciò, mentre la media dei Paesi Europei si attesta a poco più della metà del nostro. Ciò significa , se gli italiani sono circa 60 milioni, che ciascuno di essi, bambini compresi, ha sulle spalle un debito attorno a € 30.000 (pari al totale del debito pubblico, circa 1800 miliardi di €, diviso per i 60 milioni di cittadini), debito contratto, nel tempo, dallo Stato essenzialmente per:

• assicurare a tutti i cittadini un certo livello (sia pure per molti aspetti insoddisfacente) di servizi pubblici (istruzione, sanità, difesa,trasporti, etc) e di infrastrutture (strade, ferrovie, scuole, ospedali, caserme, etc);
• pagare a molti cittadini (sia pure troppi) stipendi e pensioni;
• stimolare o sostenere, quando ce ne è stato bisogno e ce ne è stata la possibilità, l’economia del Paese attraverso contributi, aiuti, detassazioni, etc;
• etc. etc.

Per farla breve, ci saranno stati – è innegabile – degli sprechi, ma la grandissima parte del debito pubblico è stata contratta dallo Stato per conto o nell’interesse dei cittadini, quand’anche mal interpretato; e, se ci sono stati sprechi o cattive interpretazioni dell’interesse dei cittadini, essi sono da attribuire solo a quelli che i cittadini hanno votato.
Il debito pubblico è, a tutti gli effetti, debito di ciascuno di noi. Attraverso di esso, anzi, gli Italiani hanno nel tempo compensato la minore efficienza del nostro Paese; hanno cioè beneficiato di un’illusione di ricchezza che non c’era e, talora, hanno ciecamente continuato a votare chi aveva scelto di propinare questa illusione. Fino a quando era possibile (cioè fino a quando c’era la Lira) le svalutazioni periodiche del cambio hanno aiutato alla coltivazione delle illusioni.
La “macchina delle illusioni” si è fermata:

• se vogliamo stare nell’ Euro, cioè in Europa, non possiamo più “beneficiare” di svalutazioni;
• se vogliamo stare nell’ Euro, cioè in Europa, non possiamo più mantenere un debito pubblico così elevato.

E poiché a nessuno, sano di mente, verrebbe in capo di uscire dall’Euro o dall’Europa, dobbiamo ridurre il debito pubblico.
Per ridurre il debito pubblico occorre produrre più ricchezza (e dunque lavorare di più e più efficientemente) e, intanto, pagare molte tasse (tante tasse da far sì che ogni anno avanzino soldi per rimborsare il debito, dopo aver pagato le spese pubbliche di cui sopra e gli interessi sul debito stesso).
Chi promette di ridurre le tasse promette di non ridurre il debito pubblico e, quindi, di mantenere l’Italia ancorata alla sua inefficienza (anche se è vero che tasse elevate possono deprimere l’efficienza). Infatti, il debito pubblico:

• assorbe molte tasse per pagare gli interessi (circa € 1200/1300 a persona, bambini compresi, ogni anno);
• impedisce o rallenta lo sviluppo delle infrastrutture (l’Italia ha maturato un enorme gap nei confronti dei maggiori Paesi Europei);
• deprime la qualità dei servizi pubblici (lo stato della nostra scuola ne è testimonianza);
• ostacola ogni azione di espansione economica, quando ce ne sia la necessità;
• espone al rischio del rifinanziamento del debito quando maturano le scadenze.

Per uscire da questa situazione occorre: o rassegnarsi ad un’elevata pressione fiscale per molti anni; o mettersi nell’idea di uno sforzo straordinario per ridurre, significativamente e almeno a livello degli altri maggiori Paesi Europei lo stock del debito (prelievi straordinari, patrimoniali, etc).
Osservano alcuni, non senza ragione: ma le famiglie italiane sono indebitate, per loro proprio conto, meno delle altre famiglie di europei!
Bene, allora possono farsi carico di uno straordinario sforzo per ridurre il debito contratto per loro conto e nel loro interesse dallo Stato! Così:

1. ridaranno allo Stato capacità di investimento e di manovra economica e di migliorare la qualità di servizi di vitale importanza come la scuola, l’università, la ricerca, etc;
2. impareranno, una volta per tutte, a non più votare chi promette spesa pubblica (per maggiori stipendi, maggiori pensioni, etc) ma solo chi promette nuovi risparmi e nuove efficienze.

So bene che ci sono elevati prezzi politici e controindicazioni economiche ad una drastica manovra straordinaria del tipo di quella qui, forse un po’ paradossalmente, abbozzata. Ma se solo si conseguisse rapidamente, attraverso una piena presa di coscienza, l’obbiettivo sub 2 e solo progressivamente quello sub 1, avremmo già svoltato verso la strada giusta.
Ho sempre pensato che sia meglio prendere autonoma coscienza di un problema che non attendere che siano altri a forzarci a tale presa di coscienza (come, solo per citare un esempio recente, sta accadendo in Grecia).
Ma chi avrà il coraggio di guidare gli Italiani a fare queste riflessioni?