ROMA – Quella di Antonio, meglio noto alla stazione Termini come “Che Guevara”, sembra una storia uscita dalla penna di un romanziere, ma lui assicura che è tutto vero. Anche se, dietro i suoi lunghi baffi affusolati, si nasconde sempre un sorrisetto ironico. Disertore e mercenario da giovane, senza dimora dopo la fine del suo matrimonio, oggi collabora con l’help center del binario 1 dopo aver attraversato un lungo periodo di miseria e alcolismo. “A Termini ci lavoro e ci abito da una ventina d’anni, ma ho girato anche tutte le altre stazioni. Da Tiburtina a Ostiense, ormai mi conoscono anche i sassi”, racconta.

Tra i binari della principale stazione della capitale, “Che Guevara” è infatti un’istituzione, tutti sanno chi è e lo cercano in caso di bisogno. I senza dimora si rivolgono a lui quando non sanno cosa mangiare o cercano una coperta per ripararsi dal freddo, gli operatori sociali e la Polfer lo prendono come punto di riferimento per sapere tutto ciò che accade dentro e fuori Termini. “La vita in stazione è una guerra tra i cosiddetti barboni, anche se non amo questa parola, e i vigilantes, la Polfer”, sottolinea Antonio. Tra le cause dei disordini innanzitutto l’alcolismo, un problema che riguarda da vicino la popolazione dei senza dimora, e che lo stesso “Che Guevara” ha vissuto sulla sua pelle. “Chi sta per strada ha bisogno di bere, di una bottiglia di vino o di una birra, perché il suo cervello è fuori dalla realtà- continua- Quando bevevo la mattina alle sei, sei e un quarto avevo già fatto fuori due bottiglie wiskhy, e durante la giornata continuavo con una cassa di birra e due bottiglie di vino. Ma col tempo il fegato ne ha risentito e ho avuto anche un mezzo infarto”. Dopo la malattia Antonio si è rivolto all’help center del binario 1 e ha deciso di intraprendere un percorso di disintossicazione e reinserimento. “Oggi non bevo più e lavoricchio anche- aggiunge- do una mano all’edicola, metto a posto giornali e il magazzino. È un’attività che mi serve anche per stare in movimento e vivere meglio in stazione”.

Ma uscire dal tunnel dell’alcol per lui non è stato facile, così come il resto la sua vita. Nato in Sicilia sessant’anni fa, mentre faceva il servizio di leva Antonio decise che le 158 lire del militare, non gli bastavano per mantenere la sua compagna, sposata quando era poco più che una bambina. E così ha attraversato le Alpi, vendendo i suoi servizi al migliore offerente e ha iniziato a girare il mondo rincorrendo soldi facili e la passione per le armi. “Ho fatto otto anni il mercenario, il “guerrigliero”- sottolinea, ricordando i suoi viaggi dal Pakistan alla Libia fino a Cuba, dove è nata la sua passione per il Che, da cui ha ereditato quel soprannome di cui va tanto orgoglioso. “Quando sono tornato mi volevano dare sette anni come disertore, me la sono cavata con un anno di domiciliari, ma in questi casi, l’etichetta di dosso non te la toglie più nessuno”. Col ritorno in Italia, per Antonio, sono cominciati anche i problemi familiari che lo hanno trascinato in un vortice di disperazione: prima la separazione con la moglie, poi la vita in strada e infine l’incontro con la droga e con l’alcol. Ma oggi di quel passato, così come della sua famiglia, non vuole più parlare. A renderlo fiero è esser considerato dagli operatori dell’help center uno di loro. “Questi ragazzi sono il fiore all’occhiello di ciò che succede alla stazione- dice orgoglioso-. Perché alzarsi la mattina e combattere con quanto accade lì fuori non è facile, per nessuno”. (ec)