La storia e la memoria sono due cose molto importanti ma molto diverse. Ognuno di noi, come soggetto singolo e come soggetto collettivo, ha una sua memoria, costituita dalle cose che ricorda, quelle che sa essere veramente accadute e che hanno plasmato la sua visione del mondo. 

Ma ogni memoria è parziale: è la storia il quadro di insieme nel quale le diverse memorie si mescolano, anche se non sempre è possibile sintetizzarle in una narrazione condivisa. Non è questione di verità opposte a bugie: due memorie contrapposte possono essere entrambe vere ma -al tempo stesso- non essere conciliabili perché rappresentano letture diverse dei medesimi fatti, o letture parziali di realtà più ampie. Ciascuno di noi ha una sua memoria, ma nessuno può pensare che essa “copra” l’intera storia e ne costituisca l’unica chiave di lettura.  La pretesa di imporre la propria lettura come l’unica è alla base di ogni contrasto e di ogni guerra.

In una sua breve riflessione (QUI) Alessandro Barbero evidenzia come, anche nel caso dell’attuale conflitto tra Russia e Ucraina, sia proprio nella diversa “memoria” che affondano le radici della reciproca diffidenza, terreno fertile per lo sviluppo di opposte narrazioni che -esasperate- alimentano conflitti espliciti.

Nella memoria degli ucraini, l’episodio probabilmente più terrificante intorno al quale si è costruita la memoria del paese, quella di un popolo che deve difendersi perché costantemente aggredito e minacciato, è stata la fame degli anni trenta del novecento. Quando il potere di Mosca ha imposto ai contadini di tutta l’unione sovietica la grande riforma della proprietà collettiva, in Ucraina c’è stata una forte resistenza che Stalin decise di stroncare crudelmente affamando i contadini, portando loro via i raccolti con la forza, lasciandoli a morire di fame o deportandoli. Questa tragica “memoria” è rimasta sepolta per anni, perché durante l’unione sovietica non se ne poteva parlare, per poi emergere in tutta la sua drammaticità. L’Ucraina ha costruito la sua memoria identitaria proprio intorno al racconto di questa “verità”: milioni di persone in Ucraina sono morte di fame per colpa di Mosca. 

Nella memoria dei russi -invece- la più grande tragedia del novecento è stata l’invasione nazista dell’unione sovietica, la terrificante devastazione di un potere che ha sterminato milioni di persone, ha deportato gli ebrei, bruciato i villaggi, massacrato i civili e –nella memoria dei russi- di tutti questi crimini gli ucraini sono stati in parte complici. Gli ucraini -per odio verso il potere sovietico- all’arrivo dei nazisti in parte li hanno festeggiati e i nazisti hanno potuto così reclutare tra loro milizie che hanno collaborato allo sterminio degli ebrei russi e anche questa è una “verità”. 

Siamo di fronte a due popoli dei quali uno ricorda la tragedia della carestia e l’altro ricorda la tragedia dell’invasione nazista, e ciascuno di essi -nella sua memoria- si considera il popolo aggredito, il popolo innocente circondato da nemici, che ha subito nel passato spaventose ingiustizie e spaventosi orrori. E tutti e due hanno ragione nel dire che queste cose sono successe “veramente” e che e sono -per ciascuno- indimenticabili. 

La conoscenza di queste vicende e la percezione soggettiva dei soggetti coinvolti non cambia di una virgola l’evidenza dell’aggressione, né può giustificare in alcun modo la responsabilità dell’aggressore. Aiuta però a capire quanto pericoloso possa rivelarsi il rancore sopito nella memoria quando si apre il vaso di Pandora. 

E’ il rischio che corriamo quando ci convinciamo che solo la nostra memoria sia quella che conta mentre consideriamo quella degli altri meno importante o non importante affatto. Nel nostro piccolo, dalle beghe condominiali alle faide familiari, dagli arroccamenti ideologici alle priorità economiche, quanti conflitti hanno radici analoghe? Chi di noi può ritenersi immune dalla tentazione di far coincidere la storia con la propria memoria personale? Di ritenere esaustiva la propria chiave di lettura degli eventi relegando le altre al rango di trascurabili sciocchezze o -peggio ancora- di insensate bugie?

La storia è plurale, la memoria è singolare. 

E la “verità”, nella storia, non è mai una sola; dipende dagli occhi di chi l’ha vista e dal dolore di chi l’ha vissuta. Ecco perché nessuno può dire di averla in tasca.