A giorni alterni l’attenzione del governo e dei media si appunta sui tre temi: legge sulla scuola, gestione degli immigrati e questione morale, mettendo in scena una sorta di triangolo delle Bermude nel quale tra le rumorose onde dei conflitti naufragano le soluzioni e il buon senso.
Nel suo articolo “A che punto sono le riforme che contano” (QUI) Luca Ricolfi afferma che malgrado la scuola, l’immigrazione e la questione morale siano questioni importanti non è su di esse che si giocherà il futuro dell’Italia: “ognuno può avere a cuore le questioni più diverse, su cui condurre le battaglie personali più appassionate, ma temo che la battaglia dell’economia sia di gran lunga la più importante, se non altro perché condiziona la possibilità stessa di combattere con successo tutte le altre”.
E’ l’economia il duro “principio di realtà” con cui dobbiamo fare i conti, se non riprende la produzione industriale e -conseguentemente- l’occupazione, se il debito pubblico continua a crescere e con esso lo spread dei titoli pubblici non saranno i provvedimenti sul ruolo del preside o il piano B sull’immigrazione a cambiarci la vita e a dare un lavoro ai giovani. Ricolfi conclude il suo articolo con una immagine efficace: “Noi navighiamo su un transatlantico che sta imbarcando acqua nei locali-macchina, ma sembriamo interessati solo a quel che avviene in coperta, dove si chiacchiera, si prende il sole e si fa ammuina, indifferenti al duro lavoro di chi sta tentando di tappare le falle e far ripartire i motori”. Insomma: la partita si decide in sala macchine, il teatro si fa in coperta.
Rispetto a questo grigio panorama nazionale, l’enciclica di papa Francesco “Laudato si’” (QUI) arriva come una boccata d’aria fresca in una giornata afosa. Ci riporta a riflessioni più ampie e ci ricorda responsabilità che vanno oltre il ristretto orizzonte di un periodo, un paese, una generazione. Il papa è ben consapevole dell’importanza dell’economia ed anche del fatto che “oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi” ma ci ricorda che “non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale” (196) . Ovviamente non è sufficiente una politica che navighi a vista, “abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi.” (197).
Con molto realismo il papa constata che quando si parla di povertà e degrado ambientale “la politica e l’economia tendono a incolparsi reciprocamente”, ma ribadisce che vale il principio che «l’unità è superiore al conflitto», un principio che -se applicato- ci costringerebbe a misurarci sull’efficacia delle decisioni che prendiamo, nella vita personale e in quella politica, senza rifugiarci nelle astrazioni e nasconderci dietro le parole.
Se l’enciclica ci aiuterà ad essere realisti nell’analisi e determinati nelle conseguenti decisioni sarà stata utile, altrimenti resterà in archivio tra i pezzi d’arte della collezione. Ma non credo che Papa Francesco l’abbia scritta con questo intento.