Chi parla male, pensa male e vive male. Questo è forse il primo inevitabile messaggio che si può ricavare dal bel saggio di Gianluca Giansante “Le parole sono importanti. I politici italiani alla prova della comunicazione” (Carocci editore).
La citazione nascosta nel titolo del libro rimanda infatti, naturalmente, a una delle scene più memorabili del film “Palombella rossa”, quando l’indignato politico impersonato da Nanni Moretti schiaffeggia una giornalista irritante, colpevole di aver abusato di parole come “trend” e “cheap”.
E forse nessuno meglio di Giansante, giovane ricercatore in Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, ma anche giornalista e consulente di comunicazione, poteva dedicarsi con successo all’esame dei vizi linguistici e delle tante strategie – verbali e non – messi in campo dai nostri politici.
Perché, come sottolinea l’autore nella prefazione, “se la comunicazione non è tutto, è anche vero che non è una dimensione irrilevante dell’attività politica e istituzionale”.
E via allora, in una trattazione dotta quanto di agile lettura, con l’analisi delle componenti che formano il corpo vivo della comunicazione politica. Dall’uso accorto delle metafore alle ripetizioni, dalla creazione di loghi linguistici fino al ricorso alle metastorie, definite da Giansante come “narrazione di un episodio che esemplifichi un elemento o un tema” proprio di un discorso politico.
Tutto un insieme di stratagemmi comunicativi, insomma, niente affatto casuali o di basso impatto.
Perché “il linguaggio rivela dimensioni importanti del livello profondo della strategia politica”.
E, soprattutto, perché il meccanismo che determina la creazione di consenso intorno a una proposta segue percorsi tutt’altro che legati alla sola logica: “l’idea di una razionalità non influenzata da emozioni e sentimenti – afferma Giansante – non ha riscontro nella realtà”.
È richiesta pertanto al politico avvertito una attenzione estrema verso tutti quelli che sembrano solo artifici retorici, ma che nella verità sono strumenti “a doppio taglio” capaci di suscitare emozioni e quindi partecipazione. “Non sapendoli maneggiare – aggiunge Giansante – ci si può fare male”.
La parte più gustosa è senz’altro quella sulle applicazioni concrete delle osservazioni generali enunciate nella prima parte del libro.
L’autore procede infatti spedito con l’analisi della comunicazione di alcune figure di primo piano del nostro scenario politico. Dall’inevitabile Berlusconi (inevitabile davvero, se è la quarta volta che ce lo ritroviamo in corsa per Palazzo Chigi) al fenomeno Lega, passando per i vari Casini e Fini, fino agli “estremisti di successo”, come Grillo e Di Pietro.
Non mancano naturalmente i capitoli dedicati al centro sinistra: da quello che ci mostra gli ingranaggi della poetica “narrazione diversa” di Vendola, fino al capitolo sulla difficile comunicazione di un certo Pd.
Uno degli insegnamenti più significativi di questa seconda sezione del libro è che l’apparente semplicità di un discorso politico non coincide ipso facto con sciatteria o rozzezza comunicativa. Tutt’altro.
“Rendere la politica comprensibile a tutti non è un abbassarsi ma un avvicinarsi alle persone”, spiega Giansante. E perfino il linguaggio brutale, pseudoeversivo della Lega trova una sua spiegazione lucidissima nell’analisi proposta niente meno che da Bossi nel 2003: “Ebbene, noi abbiamo un compito difficile: agganciare la linea emotiva ed irrazionale delle masse padane. E dobbiamo farlo con passione, perché è l’unico modo non per non fare casino, ma per alimentare la linea razionale, per spiegare i problemi anche se non in profondità, quello che è però necessario per creare una opinione autenticamente vera ”.
Idem per le famigerate barzellette del Cavaliere, che svolgono nei suoi discorsi lo stesso ruolo degli exempla medievali, tanto che lo stesso Berlusconi a questo proposito ha affermato: “Io non racconto barzellette e disistimo chi lo fa. Io uso delle storielle per scolpire concetti”. E la sottovalutazione in politica del fenomeno “B.”, bollato per anni come un impresentabile parvenu, è costata non a caso carissima alla sinistra italiana (e al Paese tutto).
Quello di Giansante è insomma un lavoro ricco di ingegno, ben costruito, ma soprattutto utile. Vale davvero la pena la pena di leggerlo, specie in questi giorni di discorsi e promesse che ci separano dall’appuntamento del prossimo 24 e 25 febbraio.