Che l’80% degli italiani abbia fiducia nel Presidente Napolitano è una buona notizia. Che Berlusconi sia sceso nei gradimenti al 30%, cioè meno ancora della vigilia della sconfitta elettorale del 2006, è invece un’ottima notizia. Che il PD e il PDL insieme superino a stento il 51%, quando erano a circa il 70% dopo le elezioni deve far riflettere. E la prima riflessione, dai dati pubblicati da Ilvo Diamanti su Repubblica (14 febbraio), è che la crisi dei partiti pilastro del bipolarismo è la crisi stessa del bipolarismo. Che Napolitano abbia una così vasta popolarità anche tra il popolo del centrodestra è l’evidenza ulteriore di questa crisi del bipolarismo e della sfiducia nella classe politica: il vuoto che lascia è per fortuna coperto dal Capo dello Stato, ma certo per i partiti di opposizione questo è un ulteriore sintomo di crisi nel rapporto con gli elettori.
Chi dovrà pensare la prossima legge elettorale dovrà tenerne conto. Queste gabbie di due blocchi stanno strette a molti e stanno implodendo.
La crisi del bipolarismo è stata palesata nelle piazze domenica scorsa. Centinaia di migliaia di donne (e anche uomini) radunati al grido trasversale : Se non ora, quando? Dall’avvocato di destra alla sindacalista, dalla suora alla precaria. Belen e Canalis hanno detto che non avrebbero partecipato, ed è giusto così perchè loro sono proprio il prodotto di quell’Italia-fiction che la manifestazione di domenica ha inteso denunciare.
La piazza, le piazze hanno dimostrato fondamentalmente una cosa: la voglia di uscire da questa situazione di stallo, di superare le idiozie e i modelli beceri quotidianamente proposti dalle TV da 30 anni a questa parte, la voglia di riprendere un cammino, basato sulla riscoperta di valori condivisi: le Istituzioni, il rispetto degli altri, l’etica dei comportamenti pubblici, l’unità nazionale e il senso dello Stato. Quei valori “pallosi” che non fanno audiece, che costringono a pensare. Non sono valori né di destra né di sinistra, ma solo valori un popolo. Intendendo un popolo, una nazione non un’ entità geografica che si misura in Km quadrati, ma un insieme di valori comuni espressi in un’unica lingua, sanciti in un codice di norme e di aspirazioni condivise, da una cultura insomma che fa da collante (Benigni ce lo ha ricordato celebrando il 150° dell’Unità d’Italia a San Remo: prima è nata la cultura italiana poi l’Italia). Non a caso lo sfascio culturale a cui ci hanno portato i modelli televisivi dell’era del berlusconismo stanno minando le ragioni stesse del concetto di Nazione. In questa quotidiana demolizione di valori/collanti strutturali di un popolo la Lega trova in Berlusconi un alleato ideale.
Sentiamo quotidianamente frasi del tipo: ognuno a casa sua può far quello che vuole, se c’avessi anch’io i suoi soldi farei lo stesso, anch’io avrei fatto come quelle ragazze, ecc. ecc. Una buona parte degli italiani la pensa così. Sono i testimonial inconsapevoli del danno antropologico di trent’anni di catechizzazione dal rampantismo craxiano degli anni 80 all’edonismo berlusconiano, tutto culi-tette-successo-apparire, egoismi di varia specie, che hanno scalzato piano piano ma inesorabilmente i valori che hanno accompagnato i cinquant’anni dell’Italia del dopoguerra: antifascismo, partecipazione, ricostruzione, solidarietà, unità, etica dello Stato, rispetto per le istituzioni. Certo non senza fenomeni inquietanti, ma che la democrazia è riuscita ad auto- correggere.
Assistiamo ora ad un Paese bloccato e diviso, in stand by per 4 anomalie.
1 – L’anomalia di un Premier, espressione di un conflitto di interessi senza paragoni nazionali e internazionali: nel campo delle TV, dell’editoria, nella raccolta pubblicitaria, della finanza, ecc ecc. Ormai il problema è così strutturale che sarebbe più giusto parlare solo di interessi, dov’è il conflitto?
2 – La grande anomalia di un partito di maggioranza che non ha in sé il senso dell’autocorrezione, non riesce a rigenerarsi esprimendo altri leader, una classe dirigente in grado di competere per la leadership. Come ha detto candidamente il Ministro Alfano: senza Berlusconi non c’è PDL. Eppure la grande tradizione dei partiti popolari smentisce questa visione. C’è stato un Partito Popolare senza Sturzo, una DC senza De Gasperi, Andreotti, Moro, un PCI senza Gramsci, Togliatti e Berlinguer, un PSI senza Nenni, Pertini. Ma non ci può essere un PDL senza Berlusconi. In tutti i Paesi democratici sarebbe stato per primo il partito di appartenenza ad allontanare –anche momentaneamente in attesa dei processi- dalla vita pubblica colui che generato scandalo. Qui invece assistiamo all’appello “strigiamci a coorte, siam pronti alla morte!” per difendere il Capo.
E’ normale tutto ciò?
3 – L’anomalia di un’opposizione paralizzata che di fronte a scandali di tale portata continua ad essere divisa, non riesce ad esprimere un blocco alternativo con una guida condivisa. Ma resta a guardare, ognuno fermo a zappare nel proprio orticello, al massimo urlando il proprio sdegno per poi invocare elezioni anticipate: richiamo stucchevole e di maniera se non si spiega prima con chi andare e che fare dopo.
4 – L’anomalia infine, per me più triste. Quella di un popolo non reattivo come dovrebbe. Assuefatto alla mancanza di etica nella politica, alla mancanza di contenuti e di progetti, alla normalità degli scandali. Un popolo che esprime genitori che rimproverano alle proprie figlie di non aver sfruttato a dovere l’occasione di essere stata in “intimità” con l’uomo più potente d’Italia. Un popolo che con tutto quello che è successo si proietta e si riconosce comunque in un simile leader. Il problema -lo torno a ripetere – non è più politico è antropologico. Ed è molto peggio, anche per la politica.
Ma torniamo alle piazze. Per fortuna, le piazze! Almeno lì c’è stata consapevolezza che siamo in un momento decisivo della vita politica italiana per i prossimi anni, forse decenni. A Roma hanno parlato l’avvocato, la sindacalista, la suora, la precaria: uno spaccato della società italiana in fibrillazione. Il messaggio che arriva dalle piazze, di domenica scorsa ai partiti è solo uno: unirsi per rimettere l’Italia in carreggiata per ridare un futuro alle giovani generazioni. Non è questo il momento dei distinguo, per dividersi c’è tempo, ora è il momento di fare uno scatto in avanti: se non ora, quando?