Il 14 luglio 2024 Donald Trump stava parlando dal palco di una fiera agricola a Meridian, alla periferia ovest di Butler, in Pennsylvania, quando fu colpito di striscio all’orecchio destro dal proiettile di un giovane attentatore poi arrestato. Una volta soccorso, Trump non indugiò un attimo nel descrivere in maniera eroica, quasi epica, il fallito attentato in cui era rimasto ferito, parlando di protezione divina: «Sono stato salvato da Dio per rendere l’America di nuovo grande. Non dovrei essere qui oggi -ha aggiunto- è stato Dio a impedire che accadesse l’impensabile: Dio vuole che io sia il presidente degli Stati Uniti».

Sei mesi dopo, il 20 gennaio 2025, nel discorso di insediamento alla Casa Bianca  Trump ha ripreso il tema dell’attentato ribadendo: «Sono stato colpito di striscio, all’orecchio, ma sono convinto di essere sopravvissuto per un motivo: sono stato salvato da Dio per rendere di nuovo grande l’America» e conclude affermando: “Se non avessi vinto l’America sarebbe morta”.

I comizi di Trump sono sempre stati una via di mezzo tra un festival rock e una manifestazione religiosa, con un’atmosfera però sempre più simile alla seconda. Un grande rituale collettivo, che genera effervescenza, identità condivisa e coesione sociale. La sua presidenza sembra una missione messianica piuttosto che un impegno politico. Per quanto la sua vita sia stata tutt’altro che pia, ha attirato un nucleo impegnato di seguaci che lo vedono come prescelto. Del resto, l’idea che Dio svolga un ruolo divino in politica non è una novità (non solo negli USA).  

Il giorno dopo l’insediamento, Donald Trump ha partecipato -nella cattedrale di Washington- a una funzione interreligiosa, celebrata da Mariann Edgar Budde, 65 anni, leader spirituale della diocesi episcopale di Washington. La rev. Budde ha chiesto al presidente di guardare con occhio diverso «alle persone che lavorano nelle nostre fattorie, puliscono le nostre case e i nostri uffici, lavorano negli impianti del pollame e della carne, che lavano i piatti dopo che ceniamo nei ristoranti e fanno il turno di notte negli ospedali: forse non sono cittadini, forse non hanno i documenti a posto, ma la maggioranza degli immigrati non sono criminali. Le chiedo di avere pietà, signor presidente, per quelle comunità i cui bambini temono di vedere i genitori portati via e di aiutare coloro, che fuggono dalle zone di guerra e dalle persecuzioni nelle loro terre, a trovare compassione e accoglienza qui». Ha poi aggiunto: «Un tempo eravamo tutti stranieri in questa terra.».   

La reazione di Trump non si è fatta attendere: “La cosiddetta vescova è una estremista di sinistra che mi odia. Ha trascinato la sua chiesa nella politica in modo sgraziato, mi ha parlato con tono sgradevole e poco convincente e ha dimenticato che quei migranti sono assassini entrati illegalmente.”.

Niente di nuovo: il fenomeno dei leader politici convinti di essere messia o prescelti da Dio è ricorrente nella storia e ha spesso condotto a conseguenze devastanti. Questa convinzione, che intreccia politica e religione, attribuisce al leader un’aura di infallibilità, creando un culto della personalità che può soffocare il dibattito democratico delegittimando ogni forma di opposizione e trasformando il dissenso in un tradimento non solo politico, ma quasi sacrilego. Il pericolo maggiore di questa percezione soprannaturale del mandato politico è la perdita di equilibrio tra potere e responsabilità. Un leader che si considera un messia può giustificare qualsiasi azione, anche la più estrema, come necessaria per la salvezza del popolo o della nazione. Per evitarne i rischi, è fondamentale che vengano preservati i principi di democrazia e separazione tra politica e religione. La storia dimostra che i leader, per quanto carismatici, non devono essere idolatrati, ma costantemente monitorati e messi di fronte alle loro responsabilità umane e politiche.

Mi resta un dubbio: questo definirsi come messia è una strategia populistica o ci crede davvero? Come dicono a Roma, “delle due l’una, o c’e’ o ci fa”: non so quale sia l’ipotesi peggiore.