Quando ero piccolo leggevo Topolino e la società di Topolinia era semplice da interpretare: Topolino era il buono, Gambadilegno era il cattivo, il commissario Basettoni lo arrestava e l’equilibrio veniva ristabilito. Niente di complicato.
Non ci ho messo molto a capire che la realtà era più complessa, che tutti erano un po’ buoni e un po’ cattivi, che anche i commissari avevano i loro problemi e gli equilibri compromessi non erano sempre facili da ristabilire.
Negli anni seguenti non è stato difficile nemmeno capire che le cose da conoscere e da fare sono sempre più complesse di quanto sembrino viste da fuori o da lontano: una nuova lingua da imparare, un viaggio da organizzare, una competenza da acquisire, una procedura da studiare.
Ancora più complesse, tanto da dover ricorrere necessariamente agli “addetti”, le questioni scientifiche, tecniche, economiche e mediche con cui ci troviamo -spesso nostro malgrado- a fare i conti.
Non parliamo poi di quanto possano essere complicate le relazioni con le persone, con le altre culture, con noi stessi.
Insomma non bisogna essere geni per capire che le cose sono sempre più complesse di quanto appaiano.
Ecco perché mi stupisce vedere persone adulte e mature inseguire l’illusione della semplicità con una ingenuità che sconfina nell’infantilismo. Sempre più spesso, negli ultimi tempi, sento difendere ipotesi economiche sviluppate col pallottoliere, strategie politiche internazionali come se le variabili in gioco fossero due o tre, scenari di politiche occupazionali che non funzionerebbero neppure nel medioevo, terapie di gravi malattie basate sui prodotti dell’orto, assetti istituzionali che gli Assiri giudicherebbero primitivi.
L’unica spiegazione che trovo per giustificare questa ostinata rimozione della complessità è la paura.
La paura di non riuscire a controllare i processi, la paura che oscuri complottisti si annidino ovunque, la paura di non capire, la paura di delegare, la paura di essere fregati, la paura di non essere all’altezza.
Ma la paura, si sa, non è la migliore delle consigliere; e allora, invece di studiare ciò che è alla nostra portata, informarci e confrontare le diverse soluzioni, affidarci a chi ne sa più di noi, correre l’ineludibile rischio della delega e accettare le mediazioni inevitabili perché non tutti la pensano come noi… preferiamo regredire all’infantile livello della negazione della complessità. Qualunque sia il problema pretendiamo che sia possibile giocarselo a pari o dispari.
Dobbiamo farci pace: è la vita che è complessa.
Far finta che non lo sia è una bugia che non aiuta a vivere bene.