«Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura. », dal Diario di E. Munch

L?Italia delle paure
Dice il Censis nel suo ultimo rapporto che il 2008 è stato l?anno delle paure. Ed elenca tutta una serie di micro/macropaure che pervadono la società italiana: alcune reali, altre indotte, alcune vere e molto serie, altre più futili e di superficie. La paura delle paure è sicuramente la perdita dello status economico di appartenenza (da cui la ?paura? della perdita del lavoro, della crisi finanziaria, dell?incremento del mutuo, insomma di non riuscire ad arrivare a fine mese, ecc.). Poi c?è la microcriminalità: paura in parte reale in parte pilotata dai media a scopi elettorali, ma che, come tanti giochi pericolosi, poi, se se ne perde il controllo, si rigira contro chi la sta usando. A questa si collega indissolubilmente la paura del diverso, dell?extracomunitario (terminologia sempre più omnicomprensiva che ingloba sempre più spesso anche i neo comunitari dell? Est europeo). Conclude il Censis che la grande capacità italiana è sempre stata quella dell?adattamento e, con una nuova metamorfosi, con la temperanza nei consumi, con la sua umanità, con quel modus vivendi di formichina laboriosa e oculata, che ha contraddistinto l?italianità nella grande sfida della ricostruzione del dopoguerra, ancora una volta il nostro bel Paese saprà uscire da questa crisi strutturale, metabolizzando le sue paure. Modificata nei comportamenti, negli stili di vita, ma l?Italia ne uscirà.
Se dovessi paragonare l?Italia attuale ad un?opera pittorica, la vedrei simbolicamente ben rappresentata dall? Urlo del pittore novergese Edvard Munch, che meglio di ogni altro ha saputo rappresentare l?immagine dell?angoscia, la paralisi di fronte ad eventi esterni tanto più terribili in quanto invisibili e non razionalmente misurabili.
Voglio subito dire che una società coesa da un fil rouge come la paura è una società in difesa, incapace di guardare al futuro e di reagire, paralizzata di fronte al pericolo recessivo, per cui l?ottimismo del Censis non riesco francamente a condividerlo.
Se metamorfosi ci sarà, sarà una metamorfosi all?indietro: verso una società sempre più chiusa, escludente, autoprotettiva, più che progettuale, accogliente, propositiva. L?Italia che costruiva (o meglio si ri-costruiva) dalle rovina della guerra era l?Italia che voleva scrollarsi di dosso il peso di un Ventennio di oppressione, era un?Italia liberata, non solo geograficamente e politicamente dagli Alleati, ma liberata nelle energie culturali, imprenditoriali ed economiche, che guardava con fiducia al futuro, perché sognava un avvenire migliore. Mentre l?attuale è una società che non sogna, ma che vive di incubi, una società introversa, che si sente continuamente minacciata dall?esterno (dalle direttive europee, dai flussi migratori, dalla crisi delle banche americane, dal terrorismo, dalla Cina, e perché no, anche dall? influenza aviaria, dal morbo della mucca pazza, ecc) come se tutto il male fosse fuori, altro da sé. Così in epoca di globalizzazione, di apertura delle frontiere, di libero scambio di merci, persone e know-how, noi facciamo l?opposto e tendiamo sempre più a chiuderci: incapaci di superare le nostre paure alziamo barriere, e ci sentiamo sicuri solo nel nostro piccolo mondo antico, nella salvaguardia parossistica del localismo.
Vediamo allora un po? meglio dal di dentro queste paure, utilizzando solo i numeri degli ultimi rapporti Istat, Censis, Caritas/Migrantes, ed altri istituti di ricerca. Potrebbe essere un esercizio utile per fare un po? di chiarezza e sfatare qualche pregiudizio, per rimuovere finalmente un po? di banalità, secondo l?auspicio di Felice Celato.

La paura degli immigrati
Nel 1998 erano 1 milione ora sono 3,4 milioni. Ci avviciniamo a raggiungere la soglia di sicurezza del 6% (secondo alcuni rapporti già abbondantemente superata), che è stata più volte indicata come il limite di tollerabilità sociale, oltre il quale i problemi di integrazione diventano molto seri (ma a Milano sono già il 13% il 9% a Firenze e Torino). 1.367.000 sono attualmente le famiglie con capofamiglia straniero Aumentano i matrimoni misti (34.000 +14%) e i nati in Italia: 64.000 il doppio del 2003. 500.000 sono gli studenti stranieri. Gli immigrati regolari sono ormai una risorsa preziosa e insostituibile: rappresentano il 6,4 % della forza lavoro italiana, 225.408 sono le microimprese costituite da immigrati (era 100.000 solo pochi anni fa), di cui 37.531 (+8%) sono state costituite nell?ultimo anno. Il 35% delle nuove imprese nate quest’anno ha come titolari cittadini extracomunitari. Si tratta per lo più di piccoli imprenditori, individuali, giovani: l’85% ha meno di 50 anni e il 15% ne ha meno di 30. Ma si stanno gradualmente consolidando, dal punto di vista aziendale e dimensionale: oltre 2.500 delle nuove imprese ha più di 10 addetti. Contribuiscono a costituire tra il 9% e il 12% del PIL nazionale (secondo le stime). 21 miliardi di euro secondo l?Inps sarebbe il reddito lordo imponibile dei 2.175.545 lavoratori stranieri dipendenti, autonomi e parasubordinati iscritti negli archivi dell?istituto nel 2007. I contributi da loro versati sarebbero pari a circa 5 miliardi di euro (escludendo peraltro ? e non è poco – i lavoratori agricoli e le colf). Per l?istituto e il nostro sistema di Welfare è una bella boccata di ossigeno.

Sono cifre che farebbero pensare ad un processo di integrazione positivo e ad un diverso atteggiamento, diciamo così, almeno di parziale gratitudine da parte della collettività italiana. Invece un recente rapporto svolto in varie nazioni europee dal German Marshall Fund e dalla Compagnia di San Paolo evidenzia atteggiamenti diversi: il 68% dei nostri intervistati pensa che la maggior parte degli stranieri siano in Italia senza permesso, l? 82% vorrebbe il loro rimpatrio a prescindere dal grado di inserimento e per il 66% sono convinti che la criminalità è opera loro (non a caso l’ 86% della popolazione italiana teme l’ immigrazione illegale). Sono tra i valori percentuali più alti di tutta Europa, che ben misurano il nostro attuale atteggiamento xenofobo.

La paura di non sentirsi protetti
La paura dell?immigrato e l?insicurezza sono strettamente collegate, salvo poi sapere da studi più appropriati che gli immigrati presentano un tasso di devianza del 2 per cento, di poco superiore a quello dei cittadini italiani.
Ha detto recentemente un rassicurante ministro Maroni che non esiste un?emergenza sicurezza: se lo dice lui, che sulla sicurezza, solo pochi mesi or sono, ci ha imbastito una campagna elettorale, ci dobbiamo credere. Come cambia la visione del mondo quando si è al governo!
Tranquillizzati dal ministro non possiamo però non rilevare che nel 2008 sono stati 36.952 gli stranieri clandestini sbarcati sulle nostre coste, rispetto ai 20.455 del 2007 (+80,6%). Lampedusa è stata la meta privilegiata di questo particolare tipo di mobilità intercontinentale passando da 11.000 sbarchi del 2007 a 30.000 (+273%).
Spinto dal caso di Guidonia, ha detto ancora il Ministro che nel 2008 si sono registrate in Italia 4.465 violenze sessuali con un calo dell’8,8% rispetto al 2007, vale a dire 432 episodi in meno. Ma a differenza di quanto l?opinione pubblica pensi ? e questo è passato in sott?ordine – la qualifica di stupratore è di gran lunga appannaggio di italiani, ai quali vanno ascritti circa il 60% dei casi denunciati di stupro (contro l?8/9% di rumeni).
I reati statisticamente saranno pure in calo, ma attenzione: le statistiche Istat sono base sui reati denunciati, non su quelli effettivamente commessi o passati in giudicato. Quanti microreati non vanno denunciati perché si pensa che sia una perdita inutile di tempo? Per sfiducia verso lo Stato e l?operato delle forze dell?ordine che hanno sicuramente cose più serie da pensare di un portafogli o di una bicicletta rubati? Comunque, secondo l?Istat, resta un dato di fatto che, al di là delle tranquillizzanti parole del Ministro, il problema criminalità preoccupa quasi il 60% degli italiani: una volta aizzate le fiamme su questi temi scottanti, è poi difficile governare l?incendio e c?è il rischio di bruciarsi?
Se poi non esistesse davvero un?emergenza sicurezza, non si capisce perché allora lo stesso governo dovrebbe annunciare di voler portare a 30.000 i militari impegnati in azioni di sorveglianza sulle strade e nelle piazze delle nostre città! Almeno un po? di coerenza!
In verità da altri studi sappiamo che nel nostro Paese vi è già 1 agente ogni 134 abitanti e un bel passo avanti si potrebbe fare se venissero impiegati in compiti propri di sicurezza, per i quali sono stati formati, non i militari, addestrati per ben altre situazioni, ma i 20.000 e più componenti delle forze dell?ordine, oggi impegnati in lavori d?ufficio. Già un bel passo avanti per il cittadino sarebbe quello di unificare i vari numeri di pronto intervento: il 112 dei Carabinieri, il 113 della Polizia, il 117 della Guardia di Finanza, il 1515 della Forestale, il 115 dei Vigili del Fuoco, il 1530 della Guardia costiera a cui vanno aggiunti i vari numeri delle Polizie municipali degli 8.101 comuni italiani e quelli della Polizia Provinciale delle 107 province italiane.

La paura di trovarsi poveri
All?insicurezza personale si unisce l?insicurezza economica. Sempre secondo l?Istat nel 2007 la percentuale di famiglie povere italiane è immutata rispetto al 2006 (l’11,1%). In valori assoluti si tratta di oltre 2,5 milioni di famiglie (2.653.000) composte da circa 7,5 milioni di persone (12,8% della popolazione), con punte percentuali estreme (intorno al 27%) in Basilicata e Sicilia.
Del resto un recente rapporto OCSE (Growing Unequal? Income Distribution and Poverty in OECD Countries) non ha potuto che constatare come il nostro Paese sia tra le nazioni industrializzate dove esiste maggior divario tra ricchi e poveri (siamo al sestultimo posto con un coefficiente di Gini ? che è il coefficiente appunto di misurazione del divario – dello 0,35%): il che certifica una cattiva distribuzione del reddito: sempre più ai ricchi, sempre meno ai poveri. Poca soddisfazione possiamo trovare nel fatto che peggio di noi stanno gli Stati Uniti (al quartultimo posto). E? questo un problema che riguarda innanzi tutto le fasce a reddito basso, ma è sempre più evidente che la crisi economica sta risucchiando verso il basso le classi medie e tutte le famiglie monoreddito. Insomma a molti potrebbe capitare tra poco di trovarsi a far parte della sventurata statistica delle famiglie povere italiane, anche con un reddito fisso e garantito, soprattutto se il reddito è uno solo, da lavoro dipendente e il nucleo familiare è di quattro persone. Era questa la tipica famiglia italiana del dopoguerra, è stata anche la mia famiglia da ragazzo: allora non ci mancava niente, senza sprechi né sfarzi ma si viveva, e si poteva studiare fino alla laurea. Ora non è più così.
Per non parlare di chi, inevitabilmente, nel 2009, con l?acuirsi della crisi economica, perderà il posto di lavoro (secondo Confindustria sono a rischio 300.000 posti nel settore auto e 250.000 nelle infrastrutture, 400.000 lavoratori precari secondo la CGIL, mentre nei settori industriali e nel commercio, l’aumento della Cig è stato nel 2008 di oltre 40 milioni di ore, con un +27,04% sul 2007 e nel solo mese di dicembre è aumentata del 129,66%).

Non è dunque un caso se oltre il 70% delle famiglie giudica peggiorata o molto peggiorata la propria situazione economica rispetto all?anno prima (le famiglie che giudicano peggiorata la propria situazione economica rispetto all’anno precedente è del 54,5 per cento, contro il 41 per cento del 2007. Scende al 39,4 per cento dal 51,9 del 2007 la percentuale di chi giudica invariata la propria posizione economica. Per il 16,2 per cento è “molto peggiorata”, l’anno scorso la percentuale era del 9,2).

Insomma siamo sempre di più un Paese in declino: povero, insoddisfatto, sfiduciato, vecchio (un italiano su 5 è ultrasessantacinquenne), e anche un po? malato (quasi il 40% degli italiani è affetto da patologie croniche).

Le due vie
Da questo breve spaccato delle paure reali o presunte dell?Italia odierna come se ne esce? Qual è la strada che si presenta alle nostre forze politiche? Le vie sono essenzialmente due: o cavalcare la paura, massimizzando e incamerando consenso, immediato ma mortale per il futuro del Paese; o con un messaggio di speranza, in chiara controtendenza, difficile da capire nell?immediato, ma in grado di produrre futuro, realizzabili sogni.
Finora la Destra è stata vincente perché ha saputo rappresentare il partito delle paure (e all?interno di questo schieramento l?avanzata forte della Lega docet): la paura dell?immigrato, la pubblica insicurezza, la paura delle regole (non a caso: Casa delle Libertà), e quindi il conseguente egoismo sociale e individualismo, la compressione del Welfare, la minaccia ai diritti sindacali acquisiti (magari spaccando il sindacato). Fermo restando poi che a queste paure di base non sono state date ancora risposte concrete, ma ne sono seguiti solo sterili annunci, che forse hanno imbonito l?elettorato meno attento, ma di fatto non hanno finora né affrontato né tanto meno risolto i problemi.
Ma in una società mediatica come l?attuale ? si sa – l?annuncio si trasforma in realtà, tanto più forte e insistente è la ripetitività del messaggio. Per questo il controllo delle reti televisive è fondamentale: per far passare un?immagine della realtà precostituita, per divulgare e far credere rilevanti e operativi provvedimenti mai presi, per tranquillizzare (o esasperare) secondo la convenienza del momento la pubblica opinione. Al riguardo segnalo gli istruttivi e quotidiani servizi del TG4 di Emilio Fede nei mercati rionali: prima delle elezioni venivano solo intervistate persone che si lamentavano dell?aumento dei prezzi e non ce la facevano ad arrivare a fine mese, ora, fortunatamente ? in barba ai dati dell?ISTAT prima citati – la situazione secondo questo TG è miracolosamente cambiata: tutti gli intervistati sono felici e contenti, pieni di fiducia nell?avvenire, i prezzi sono bassi, i consumi in forte ripresa. Ma su questo tema, del rapporto indissolubile tra politica e media, abbiamo già parlato troppe volte, ricordando, nell?ultimo intervento, l?amarezza dell?ancora Ministro Gentiloni che autodichiarava la propria impotenza nel dar seguito alla riforma del sistema radiotelevisivo perché non sostenuto dalla sua stessa maggioranza…(non era meglio se il Governo Prodi fosse caduto su questo?).

Nonostante il controllo dei media che contano e che fanno opinione, resto però dell?idea che la realtà (la struttura), col tempo, alla fine, non potrà che avere il sopravvento sulla finzione (o si dice fiction?).
E? inutile rappresentare un mondo che non esiste, il mondo reale alla fine emergerà con tutte le sue contraddizioni. E allora occorre attrezzarsi fin da ora per accorciare questo tempo di disvelamento delle contraddizioni tra società reale e virtuale con incalzanti iniziative di controinformazione, con proposte concrete, con programmi alternativi per singoli argomenti, seguendo un calendario di priorità non dettate dai media secondo gli eventi, ma secondo le priorità strutturali e sociali del Paese. Ad una società che ha paura, governata dal partito delle paure si dovrebbe controbattere (se ci fosse una forza di opposizione degna di questo nome) con un programma di speranze. Che almeno evidenziasse quanto di reale esiste in queste paure, quanto di precostituito ad arte, e quanto siano inadeguati i provvedimenti-annuncio del Governo.
Negli Stati Uniti finalmente abbiamo un esempio da seguire, basta guardare lì. I primi giorni di Obama sono stati all?insegna della demolizione del passato: da Guantanamo, all?Iraq, ai rapporti con l?Iran e con la Russia, ai provvedimenti ambientali a scapito dell?industria automobilistica, al finanziamento delle associazioni abortiste, della ricerca sulle staminali, ecc. Quanti di questi provvedimenti di rottura avrebbe potuto prendere l?attuale nostro Partito Democratico, dove confluiscono posizioni filo CGIL, filoconfindustriali, teorici della flessibilità del lavoro e strenui avversari, imprenditori e operai, laici radicali e cattolici radicali, senza una sintesi credibile e coerente?
La mia opinione è che, sull?esempio di Obama, occorre ripartire dalla creazione di una leadership forte, carismatica che abbia un programma di speranza, fortemente innovativo e alternativo nelle forme e nei contenuti per ricompattare l?elettorato deluso, senza paure di rotture, senza accordi sottobanco né nel col Governo né con altre forze politiche che aspirano ad un grande Centro, né tra le componenti interne al Partito, ma basato esclusivamente sulle vere priorità del Paese. Un programma di governance della metamorfosi positiva e in avanti preannunciata dal Censis.
Se il progetto riesce ? chiaro, comprensibile, coerente con le speranze dell?Italia – allora avrà avuto un senso l?aver creato un vero Partito Democratico: se no, prendiamone atto, bona pace a tutti? ognun per sé.