Siamo ormai tristemente abituati, nei resoconti politici dei telegiornali, a una ritualità stucchevole e inutile: la litania delle dichiarazioni degli esponenti di ciascun partito al fatto del giorno che -comprensibilmente- non ogni giorno è così rilevante da meritare uno specifico commento, ma la litania è d’obbligo, inevitabile come gli inserti pubblicitari su internet (ma senza possibilità di “skip”).
Il rito segue rigide regole che stabiliscono l’ordine di apparizione (di solito prima i partiti al governo e poi quelli all’opposizione), la durata dell’intervento (direttamente proporzionale al peso parlamentare) e l’accuratezza del sottopancia (che ratifica l’identità e l’esistenza in vita del portavoce prescelto regalandogli qualche secondo di visibilità). Purtroppo tali regole nulla possono sul contenuto del commento che è immancabilmente più prevedibile della morsa del gelo in gennaio e dell’afa in agosto.
A tanto grigiore formale fanno da contraltare le raffiche di tweet e di post ai quali i politici affidano senza paura e senza misura le ironie, le allusioni, le invettive e i commenti più salaci, cui seguono -ovviamente- le repliche degli interessati che si sentono in dovere di controbattere. Negli ultimi anni inoltre (Trump docet!) si è andata gradualmente affermando la commistione degli strumenti di comunicazione ed anche gli organi istituzionali hanno cominciato a far uso di tweet e post per annunciare fatti, anticipare decisioni ed esprimere giudizi, rendendo così la ritualità della comunicazione formale ancora più grigia ed obsoleta.
Su questo disordinato groviglio comunicativo senza più argini è caduta come un meteorite la scorsa settimana una indicazione che ha dell’incredibile: “si comunica solo quando si ha qualcosa da comunicare” ha annunciato Mario Draghi nel corso del primo Consiglio dei Ministri. “In che senso?”, immagino molti si siano chiesti, “non penserà davvero che vale la pena di comunicare solo quando abbiamo qualcosa di nuovo, di originale, di non ovvio da dire!”. Siamo ormai così abituati ad una comunicazione politica spesso fine a se stessa, finalizzata solo ad occupare spazi e a ribadire la propria esistenza, che il contenuto da comunicare è diventato un optional.
Ovviamente non mi illudo che basti il richiamo di Draghi per cambiare le abitudini comunicative dei politici, ma notare ogni tanto che “il re è nudo” ci spinge ad interrogarci con maggiore attenzione sui contenuti reali, tralasciando i rumori di fondo e le ovvietà.
Si può governare senza tweet, si può parlare molto meno, si può tenere distinta la comunicazione istituzionale dal cicaleccio continuo, si può non cedere alla provocazione ribadendo ad ogni affermazione e probabilmente -in una fase così delicata della nostra vita sociale- avremmo tutti da guadagnarci.