Make America Great Again!” -in breve MAGA- (Rendi l’America nuovamente grande!) è stato lo slogan della campagna presidenziale di Donald Trump del 2024. Nel 2016 lo slogan era esattamente lo stesso, il che potrebbe far pensare che, nei primi quattro anni di governo, la sua amministrazione non fosse riuscita a realizzare l’obiettivo… tuttavia anche questa volta ha funzionato e Trump è di nuovo alla Casa Bianca.

Niente da eccepire sul proposito di rendere l’America nuovamente grande (“great again”) -una “grandezza” che, a giudicare dai primi proclami, questa volta sembra declinarsi addirittura in senso geografico: l’annessione del Canada, del territorio del canale di Panama, della Groenlandia…- quello che mi sconcerta è piuttosto l’accento sull’avverbio “again” (nuovamente) che tradisce la nostalgia di un tempo la cui grandezza si è poi sfaldata e che ora si vuole dichiaratamente restaurare.

Ma a quale tempo pensa Trump? Al boom economico postbellico, caratterizzato da crescita industriale, prosperità per la classe media bianca e un forte ruolo geopolitico degli Stati Uniti? (ovviamente glissando su effetti collaterali come le discriminazioni razziali e l’esclusione di molte minoranze dal “sogno americano?).  Il messaggio implicito è che l’America abbia perso qualcosa che ora vuole recuperare, ma cosa esattamente? Influenza globale? Identità culturale? Equità sociale? La “grandezza” è un concetto soggettivo: per alcuni significa forza militare e primato economico, per altri inclusione e progresso sociale. E inoltre, quali costi umani ed economici comporterebbe un ritorno a quei modelli? L’ambiguità lascia spazio a molte interpretazioni, ma è il brodo di coltura di chi vuole avere le mani libere.

A confondere ulteriormente il messaggio, pochi giorni dopo l’insediamento di Trump, il suo delfino Elon Musk si è presentato in Europa annunciando il lancio del movimento “MEGA” (“Make Europe Great Again”): un’iniziativa politica difficilmente decifrabile se proposta da un sudafricano con cittadinanza canadese, naturalizzato statunitense, attualmente iperattivo nell’amministrazione Trump, dunque impegnato a rendere “great again” l’altra sponda dell’Atlantico…

Promettere il ritorno a un’epoca idealizzata di prosperità e stabilità è una retorica che può essere molto efficace, perché fa leva sul desiderio umano di sicurezza e familiarità; ma è una retorica fuorviante perché evita il confronto con la complessità del presente e del futuro, cercando risposte in modelli del passato che -salvo rare eccezioni- non sono applicabili in situazioni radicalmente diverse. Trump non è certo il primo a far leva su questa retorica: il fascismo non ha forse incarnato per un intero ventennio la convinzione di essere l’erede storico della grandezza dell’impero romano? Il culto della romanità, i simboli, il linguaggio, i fasci littori, le raffigurazioni degli atleti, i nomi delle strade… non erano forse altrettanti remake di una “grandezza” che andava restaurandosi?

Progredire richiede piuttosto la capacità di affrontare i problemi con nuove idee, adattandosi ai cambiamenti sociali, economici e tecnologici. La vera sfida della politica dovrebbe essere quella di immaginare soluzioni innovative, invece di limitarsi a rievocare un’epoca passata che, spesso, è solo un mito semplificato e idealizzato.

Lo scorso 5 febbraio, il presidente Mattarella, nel suo limpido e articolato intervento all’università di Marsiglia dal titolo “L’ordine internazionale tra regole, cooperazione, competizione e nuovi espansionismi” (QUI), non ha mancato -in alcuni passaggi- di toccare anche questo tema: La storia non è destinata a ripetersi pedissequamente, ma dagli errori compiuti dagli uomini nella storia non si finisce mai di apprendere. La sfida è corrispondere in modo costruttivo al nuovo che emerge.  Accanto alla  nuova articolazione multipolare dell’equilibrio mondiale, si riaffaccia, tuttavia, con forza, e in contraddizione con essa, il concetto di “sfere di influenza”, all’origine dei mali del XX secolo e che la mia generazione ha combattuto. Regole e strumenti ci sarebbero per affrontare questa fase e allora perché il sistema multilaterale sembra non riuscirci, con il rischio del ripetersi di quanto accaduto negli anni Trenta del secolo scorso e cioè sfiducia nella democrazia, riemergere di unilateralismo e nazionalismi? Servono idee nuove e non l’applicazione di vecchi modelli a nuovi interessi di pochi.

L’originalità non è più percepita come un valore e lo sforzo creativo per trovare nuove soluzioni sta cedendo il passo alla logica della minestra riscaldata rincorrendo inutilmente una replica del mondo “come era una volta”, un’età aurea in cui tutto era (o ci sembrava) migliore. Non si vive di sole “cover” e coltivare la nostalgia di altri tempi e di altri equilibri non aiuta a stare sul pezzo e a trovare risposte alle sfide di oggi.