Avvio con questo testo un nuovo filone di divagazioni estive che sostituisce le solite meditazioni politiche, troppo serie e pesanti per il caldo di questi giorni.
Con l’età – si sa – si diventa saggi: lo sto sperimentando su me stesso. Pertanto, ora, ai tre quarti dei cinquanta, sono in grado di proporre alcune considerazioni retrospettive sulla vita. Quello che segue è appunto una visione olistica della vita (di cui la politica potrebbe servirsi per declinarci un programma elettorale di riforme, e che riforme!).
Partiamo da una considerazione temporale. La giornata, come tutti sappiamo, è di 24 ore. Per una vita salutare dovremmo dormire 7/8 ore, più i preparativi per andare a letto. Le ore che dedichiamo al sonno sono dunque circa 9, intoccabili, necessarie. Ne restano quindi 15 da vivere. Ora tutto il nostro stress, se ci pensiamo bene, dipende dal trovare un equilibrio tra le nostre azioni di vita quotidiane, le nostre aspettative, i nostri doveri, evitando, per quanto possibile, conflitti. Diciamo che potremmo raggruppare queste nostre azioni quotidiane in tre macro aree: lavoro, famiglia, valorizzazione del sé.
Essendo 15 le ore a disposizione e 3 le macroaree, direi che il massimo di equilibrio possibile, sarebbe quello di dedicare quotidianamente ad ognuna delle 3 macro aree lo stesso tempo: cioè 5 ore. E’ possibile ciò?
Mi è capitato di tenere dei corsi per neo assunti. Una volta il dirigente chiamato prima di me a svolgere la sua lezione terminò dicendo ai giovani neo assunti: “ebbene sappiate che se volete potete pure entrare ed uscire rispettando il vostro orario di lavoro e andare a tennis nel pomeriggio, se invece volete fare carriera dimenticate l’orologio (e il tennis)”. Ho trovato queste affermazioni veramente spiacevoli, quanto le mancate reazioni della platea. Mi chiedo ancora se tali affermazioni vadano veramente nella direzione di migliorare innanzi tutto il lavoro? A mio avviso sono criticabili applicando lo stesso falso produttivismo che le sottende. Veramente quel collega dirigente pensava nel 2012 che la qualità del lavoro si possa ancora misurare con la quantità del tempo passato in ufficio? Ignorava che i progressi informatici richiedono una presenza fisica in ufficio sempre minore? Qual era il suo modello di dipendente: il tonto che resta in ufficio 12 ore a far finta di lavorare o uno che sforna idee e progetti innovativi magari in sole 3 ore di presenza? Certo se è questa la cultura del lavoro della nostra classe dirigente… Per non parlare dell’aspetto antisindacale di considerare chi accetta di rispettare il Contratto nazionale di lavoro di categoria, un emarginato al quale è inibito far carriera.
Questo nella macro area del lavoro è un esempio di come certi preconcetti, certe modalità correnti e radicate di organizzare la nostra vita (spesso imposte dal di fuori) creino di fatto squilibrio, conflitto tra le 3 macro aree che compongono la sfera della nostra vita quotidiana. L’altra macro area è la famiglia. Avrei chiesto a quel dirigente: ma se lei è tanto sensibile al bene del lavoro, quanto tempo dedica al bene dei suoi figli? Gli sono più cari i suoi figli o il lavoro? Conosce i loro problemi? Ci parla? Li ascolta? Se lei resta in ufficio 12 ore, quando arriva a casa si ricorda il nome di sua moglie? O la chiama “cara” come in quel famoso sketch di Proietti quando diceva all’amico “la chiamo “cara” perché non mi ricordo più come c…. si chiama”. Eppure la nostra formazione occidentale cristiana fa della famiglia la molecola della cellula sociale (ed economica aggiungerebbe De Rita). Allora quel dirigente se era (forse) bravo sul lavoro lo era (forse) molto meno, anzi per niente, come padre e come marito. Che concetto dovremmo avere di lui? Una persona stimabile? Una persona che si sacrifica per i figli? Una persona di contro che preferisce la propria affermazione personale rispetto al rapporto coi suoi cari? Del resto quante persone conosciamo che per il troppo impegno nell’attività professionale hanno poi divorziato, hanno figli problematici, disadattati o non si sono sposate affatto?
Dobbiamo quindi evitare che una delle macro aree (in questo caso il lavoro) cannibalizzi le altre se vogliamo equilibrio. Ma anche il tempo passato in famiglia può essere giudicato come il tempo passato in ufficio: è sufficiente misurarne la quantità e non la qualità? Possiamo pure stare le famose 5 ore in famiglia, ma a guardare di seguito la televisione, o stare su internet o leggere il giornale. Sarebbero 5 ore di finta presenza, diciamo pure 5 ore di assenza. Quindi anche qui esprimere un giudizio sulla persona solamente basandosi sulla quantità della sua presenza e non sulla qualità delle relazioni è del tutto sbagliato.
Una volta trovato l’ equilibrio quantitativo tra lavoro e famiglia, e l’intensità qualitativa del tempo che vi dedichiamo, ecco allora prorompere l’altra sfera di attività: la valorizzazione del sé, che avviene attraverso la coltivazione dei propri hobby, dei propri interessi culturali, della propria rete di relazioni, dei propri “spazi”. Anche questa sfera è importante e reclama le sue 5 ore quotidiane: migliorare come persona in fondo significa migliorare anche il nostro apporto nel lavoro e nella famiglia. Siamo in grado di risolvere meglio i problemi (nostri interni, familiari, e nel lavoro) perché abbiamo affinato e acquisito gli strumenti di interpretazione e di risposta ai bisogni o semplicemente, quando abbiamo tempo da dedicare a noi stessi, siamo più calmi, più tranquilli, più lucidi, in armonia con noi stessi.
Le tre sfere dunque non devono essere predominanti sulle altre due: troppo lavoro comprimerebbe la sfera della famiglia e del sé, troppa famiglia ridurrebbe i tempi per i propri interessi e per il lavoro, troppa attenzione ai proprio interessi lascerebbe inevitabilmente poco spazio alla famiglia a al lavoro. In tutti i casi si avrebbero tensioni, privazioni, lacerazioni, rotture.
Ecco dunque il mio manifesto per una vita olistica che lascio alla riflessione dei lettori come momento di meditazione sotto l’ombrellone: ribelliamoci contro tutti coloro che interferiscono e vogliono ostacolare l’armonia tra le sfere! Riorganizziamo i tempi della nostra vita quotidiana in maniera più omogenea ed equilibrata. Non lasciamo che una sfera sia predominante sull’altra, soprattutto se ciò ci è imposto da modelli o comportamenti esterni e che non condividiamo.
Resistiamo contro chi pensa che la vita sia solo lavoro, ma protestiamo anche contro chi non crea lavoro, chi ci vuol far restare al lavoro fino a 70 anni, chi delocalizza e minaccia chiusure di fabbriche, ecc. contro chi enfatizza la famiglia ma poi magari è divorziato e non accetta le coppie di fatto, chi taglia risorse alla cultura, alla scuola e alla ricerca, considerando la formazione un bene sovrastrutturale di cui si può far a meno, ecc ecc. Ecco che allora la mia visione olistica della vita diventa naturalmente politica.
La politica tiene conto che la vita non si misura con parametri quantitativi, ma è qualità? Purtroppo no. Nulla misura oggi la qualità, soprattutto in questa fase di recessione economica. Tutto si riassume in numeri e percentuali (spread, rapporto debito/PIL, tassi di occupazione e di disoccupazione, spending review, ecc). Quando ci si accorgerà che la vita è soprattutto qualità? La qualità della vita appunto dovrebbe essere il vero primo misuratore sociale, non il PIL. Al Prodotto Interno Lordo affianchiamo una Qualità Interna Lorda: al PIL un QIL. Un programma politico incentrato sul QIL sarebbe veramente rivoluzionario.