Perché una ventina di persone perbene dovrebbero sedersi intorno ad un tavolo alle 19 di sera, dopo una giornata di lavoro, dandosi un appuntamento in un luogo neanche tanto ben raggiungibile, per parlare, confrontarsi e concludere la serata davanti ad un couscous (con polpette, particolare non secondario)? Non è un flash mob che li ha spinti. E’ la voglia di ricominciare a nuotare pur in un’acqua fangosa, densa, melmosa, che ti risucchia, è una specie di istinto civico –più che politico- di sopravvivenza, per non affogare nella propria angoscia privata.
Che cosa si sono dette queste persone in due ore? Praticamente nulla che possa cambiare il corso delle cose, ma hanno condiviso un malessere. Il malessere quotidiano di una vita sempre più difficile a livello economico, di relazioni tra le persone, di relazione con i propri figli, una vita che non offre speranze di futuro, dove i diritti sono sempre più intaccati, ridotti, tagliati, come il welfare, la ricerca, lo studio, la cultura. Tutto sta diventando più difficile: muoversi, curarsi, trovare lavoro, farsi una famiglia, comprarsi una casa, accedere ad un mutuo. Diritti essenziali, quasi banali, diritti minimi di cittadinanza. Intaccati dallo spread, questo mostruosa parola anglosassone che perseguita i nostri sogni da mesi, ignota ai più fino a poco tempo fa, che ora apre i telegiornali a reti unificate in prima notizia.
Io allora sempre più spesso mi chiedo: ma come avranno fatto i romani a governare per secoli un impero che andava dall’Oceano Atlantico al mar Nero senza conoscere l’andamento dello spread, del PIL, del debito pubblico? C’avrà pensato bene Costantino prima di emettere l’editto nel 313 DC sulle possibili ripercussioni sul Productus interior lordus? Gli assassini di Cesare avranno considerato che la loro azione avrebbe fatto precipitare il rapporto di cambio sesterzio/ dracma sotto la quota limite di 0,60 ?
Forse è stato meglio per la civiltà occidentale che i soli “mercati” che conoscevano i nostri antenati erano quelli “Traienei”.
Come ha fatto la nostra povera Italia suddivisa in Comuni, Ducati e Principati a diventare dal 1300 al 1600 la culla della civiltà Occidentale in campo artistico, letterario, filosofico, scientifico senza sapere qual era il rapporto deficit/Pil della Serenissima, del Ducato di Milano, della Signoria fiorentina, del regno di Napoli. Non solo Giotto o Leonardo, ma neanche i grandi banchieri fiorentini come i Bardi e i Peruzzi, che prestavano soldi ai re di Francia, conoscevano la parola spread, così come i grandi mercanti veneziani, che pur avevano il monopolio dei “mercati” del mediterraneo orientale. Chissà se Giulio II al momento di commissionare a Michelangelo gli affreschi della Cappella Sistina era informato del rapporto deficit PIL del Vaticano durante quel 1506. Magari, se ben informato dal professore di turno, forse avrebbe fatto meglio a risparmiare. Forse sarebbe stato più opportuno per le casse papali chiedere a Michelangelo una piccola tavola d’altare e non 1000 metri quadrati di affreschi. Quale corso avrebbe avuto la cultura occidentale se Atene per assestare un colpo alla spesa pubblica avesse deciso di tagliare i fondi alla scuola peripatetica di Aristotele e sopprimerne l’insegnamento? E se il principe Leopoldo per risparmiare sui conti del ducato di Sassonia-Weimar avesse deciso di tagliare il ruolo di maestro di cappella? forse Bach avrebbe fatto solo il maestro di musica ai suoi figli. Ma le finanze del ducato anche in quel caso ne avrebbero sicuramente risentito positivamente. E il nostro professore di turno avrebbe senz’altro approvato quella scelta, coraggiosa, ma doverosa.
Insomma, per il futuro, il mondo che vorrei è un mondo senza l’incubo dello spread, senza la tirannia assoluta dell’economia sulla politica e sulla società. Vorrei una rivoluzione copernicana che togliesse l’economia dal centro assoluto della politica e la sostituisse con la qualità della vita. La qualità della vita deve tornare il motore, l’obiettivo del nostro vivere quotidiano, della progettazione politica. Ma per non sembrare un romantico luddista, rottamatore e nichilista visionario senza proposte, basterebbe solo studiare le buone pratiche europee, quelle che non comportano costi e riapplicarle in Italia. Hollande ad esempio tra le prime cose fatte nei primi cento giorni del suo governo ha ridotto di due anni le pensioni, almeno per chi aveva 41 anni di anzianità di lavoro, ha indicato nel rapporto 1:20 la differenza di stipendio che ci può essere tra i manager pubblici e i propri dipendenti, insomma il CEO di un’azienda pubblica non può guadagnare più di 20 volte del suo dipendente meno pagato, ha introdotto una patrimoniale del 75% per chi ha redditi oltre il milione di euro, ha messo un limite massimo al prezzo della benzina riducendo le accise. Questo solo per la vicina Francia, poi ci sono altri pozzi inesauribili di proposte praticabili esaminando il welfare e i servizi erogati ai cittadini, alle famiglie, ai giovami, agli anziani nei Paesi Nord Europei. A proposito non è l’Europa che ce lo chiede di prendere esempio? Per chi si è preso la briga di leggere –come me- il Trattato di Lisbona, troverà spesso il frequente richiamo allo “scambio di buone pratiche” tra i 27 Paesi dell’Unione. E allora?Applichiamo queste buone pratiche. Non solo i vincoli di bilancio.
Quelli del Governo francese sono tutti segnali di attenzione e di equità verso la collettività, che potrebbero aiutare i nostri politici di così scarsa fantasia. Basta copiare. Si dirà: ma lì non c’è evasione fiscale, non c’è sommerso. Che si creino allora dei conflitti di interesse permanenti tra i singoli cittadini e il possibile evasore ampliando la possibilità di detrazione fiscale, si indirizzino poi i fondi recuperati dall’evasione al rifinanziamento del welfare, dell’istruzione, della ricerca, per le famiglie, ecc. Un recupero di scopo, cioè finalizzato, a servizi per la collettività, non a tappare solo buchi indefiniti di bilancio.
Poi ci sono altre iniziative che potrebbero prendersi a costo zero per migliorare la vita dei cittadini. Pensiamo ad esempio al telelavoro. In una città come Roma non legata al manifatturiero ma alla produzione di beni intangibili come i servizi, il cosiddetto terziario, un milione di persone potrebbe starsene comodamente a casa a lavorare dalla propria scrivania, col proprio computer, col proprio telefono cellulare e fisso, con la propria mail, senza gravare sulla mobilità cittadina, con un risparmio energetico enorme per le stesse aziende e con benefici sulla qualità dell’aria per tutta la collettività, con un sicuro miglioramento delle relazioni familiari, e un abbassamento dello stress psicofisico.
Non accetto l’idea che l’economia possa determinare la vita delle persone, che le persone diventino solo numeri, centri di costo, che la politica sia solo politica-economica e non politica-sociale. E’ questo, se ci pensiamo bene, l’origine del nostro smarrimento: l’impossibilità di distinguere governi di destra e di sinistra. Ma perché questo è avvenuto? Semplicemente perché la politica economica è stata praticamente “centrale” e “uguale” in tutti i diversi governi. Trovate delle differenze tra i due professori Padoa Schioppa e Monti? (Ci metterei anche Tremonti). Io francamente no.
Insomma c’è bisogno di rimettere al centro delle proposte politiche la vita concreta delle persone, c’è bisogno di politici in grado di coniugare senz’altro i bisogni dell’economia, ma tenendo conto di quelli sociali senza sbilanciamenti e prevaricazioni. Qui deve stare la differenza tra destra e sinistra. Ma per una rivoluzione copernicana ci vuole un nuovo Copernico.
Queste le mie riflessioni dopo il couscous. Insieme al couscous c’erano le polpette. Si vede che si stanno riposando. E il primo effetto del riposo è questo: darò il voto solo a Copernico, a chi saprà rimettere i bisogni delle persone al centro dell’azione politica con proposte concrete, ma senza populismo.