Mi sono chiesto perché tutte le costituzioni democratiche stabiliscano un limite al numero e alla durata dei mandati elettivi di chi viene scelto per governare. Il problema ovviamente non si poneva quando il potere era legato alle successioni dinastiche: il re governava fino alla sua morte o fino a quando non decideva di abdicare a favore del successore e così via senza limiti di tempo, salvo congiure, rivoluzioni cruente o conquiste del proprio territorio da parte di altri sovrani che soppiantavano la dinastia precedente.
Con l’avvento dei sistemi di governo elettivi, il potere non trovò più la sua giustificazione nel sangue “reale” che scorreva nelle vene del sovrano e dei suoi discendenti, ma nella delega dei cittadini che -con il voto- conferivano all’eletto il mandato a governare: inevitabile dunque che questo mandato avesse dei limiti prestabiliti nella durata della delega e nel numero di volte che essa potesse essere replicata.
Le ragioni di questi limiti -benché facilmente intuibili- meritano di essere esplicitate:
Evitare la concentrazione di potere: senza limiti, un leader potrebbe consolidare il potere in modo eccessivo, indebolendo le istituzioni democratiche; inoltre i governanti, rimanendo in carica troppo a lungo, potrebbero manipolare le istituzioni per favorire la propria permanenza al potere.
Promuovere il rinnovamento politico: un limite temporale aiuta a promuovere il cambiamento e a prevenire stagnazione politica o amministrativa: la rotazione dei governanti offre inoltre opportunità a nuove figure di emergere.
Prevenire conflitti di interesse: i governanti a lungo termine possono costruire sistemi di favoritismi difficili da smantellare.
Salvaguardare la democrazia: la durata limitata di un mandato promuove la centralità delle istituzioni rispetto alla persona che le guida, altrimenti i governanti potrebbero adottare politiche pensate per garantirsi il potere invece che per il bene comune.
In sintesi, dunque, i limiti al numero e alla durata dei mandati sono uno strumento cruciale per prevenire abusi di potere e per promuovere la stabilità democratica.
Ho vissuto alcuni anni in America Latina, continuando successivamente a seguire con molti amici le vicende politiche ed economiche l’hanno caratterizzata.
Ricordo, in particolare, l’entusiasmo con cui seguimmo in Nicaragua il graduale consolidarsi del Fronte Sandinista nella guerra civile che si protrasse fino all’accordo di pace del 1989. Dopo alcuni mandati elettorali nei quali si affermò una coalizione conservatrice, nel 2006 il Fronte vinse di nuovo le elezioni e tornò al potere con Daniel Ortega, leader nel quale -con i progressisti- riponevamo fiducia e speranze. Tuttavia nel 2014 -verso la fine del secondo mandato- il presidente adottò una politica di rafforzamento dei poteri del capo dello stato, modificando in tal senso la Costituzione, eliminando il vincolo che limitava a due i mandati presidenziali consecutivi e dando una svolta estremamente conservatrice al suo regime.
Anche in Venezuela, dove la costituzione prevedeva un mandato di sei anni, il presidente Hugo Chavez nel 2009 -con un referendum- abolì il limite al numero di mandati presidenziali, consentendo la rielezione indefinita. Nicolas Maduro, che gli è succeduto nel 2013, ha sfruttato la situazione reprimendo qualunque opposizione e pochi giorni fa ha giurato per il terzo mandato, senza aver neanche presentato i dati elettorali. (Chavez -paradossalmente- definì il risultato del referendum che aboliva i limiti di mandato “una grande vittoria del popolo e della rivoluzione”…)
Ho fatto riferimento alle due esperienze del Nicaragua e del Venezuela (ma si potrebbe aggiungere anche Vladimir Putin, al potere dal 2000, che si potrà candidare a un ulteriore mandato nel 2030, restando così in carica fino al 2036, quando compirà 84 anni!) per evidenziare come la questione dei limiti, di durata e di replica, dei mandati elettorali non è un dettaglio della fisiologia democratica: è un nodo cruciale. Modificare questi limiti a seconda delle convenienze o addirittura abolirli è un sintomo preoccupante.
[Certamente non mi sognerei mai di assimilare Vincenzo De Luca e Luca Zaia a Daniel Ortega e Nicolas Maduro… ma continuo a pensare che «mi chiedono restare» non sia una ragione sufficientemente convincente.]