Roma – Il problema dei rom non puo’ essere circoscritto alle impronte digitali dei loro figli, ma e’ un fenomeno complesso che si intreccia con l’atteggiamento della politica e della cittadinanza italiana di fronte al fenomeno migratorio. E’ questa la riflessione da cui e’ partito l’incontro ‘Non girarsi dall’altra parte’, organizzato dalla scuola di politica e territorio ‘Praxis’ al Centro Astalli di Roma. Sulla questione oggi c’e’ “superficialità della politica, ma anche indifferenza della cittadinanza”, ha argomentato Amedeo Piva, coordinatore di Praxis, “mentre si tratta di una sfida da affrontare sul piano culturale”. D’accordo con Piva, padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, che ha sottolineato l’esigenza di “coinvolgere gli italiani in un percorso di conoscenza del mondo degli immigrati, perchè non può essere normale vedere persone aggrappate alle tonnare”. Si dovrebbe provare “vergogna – ha insistito- e non indifferenza”. Per il religioso “bisogna investire nella formazione, a partire dall’educazione civica nelle scuole, per recuperare la capacità di indignarsi”. Secondo Nino Sergi, segretario generale della ong Intersos, le politiche per l’integrazione sono state finora “soprattutto parlate piuttosto che realizzate, come spesso anche le politiche di cooperazione”. Sergi ha sottolineato l’errore di “legare le impronte digitali ai rom, e non al fatto di nascondere la propria identità. In questo modo -ha osservato- si colpisce una comunità anzichè il crimine”. All’incontro ha partecipato anche Madison Godoy, consigliere del Comune di Roma per l’America Latina, secondo cui una reale integrazione passa necessariamente per il “coinvolgimento delle rappresentanze dei migranti” nelle decisioni normative che riguardano l’immigrazione, ma anche negli interventi bilaterali di cooperazione internazionale. Romolo Salvador, consigliere aggiunto di origine filippina, ha parlato del coinvolgimento della propria comunità in una forma di protesta, attraverso la preghiera, contro le conseguenze del decreto sicurezza: “Proprio perchè siamo la comunità tra le più integrate e da più tempo presenti in Italia eè importante occuparci della tutela dei diritti degli altri immigrati, senza rifugiarci nell’indifferenza”. La clandestinità “e’ una fase del percorso dell’immigrato”, ha ricordato Salvador, che per quattro anni e’ stato senza permesso di soggiorno e oggi e’ un imprenditore che, ha sottolineato, con il suo lavoro “contribuisce al bene della società italiana”. Il tema della sicurezza, tanto caro ai cittadini italiani, e’ stato rivendicato per i migranti dal consigliere aggiunto proveniente dall’Ucraina, Tetyana Knizyk, mentre Sibi Mani Kuramangalam, consigliere di origini indiane, ha concluso con un’esortazione: “Visto il grande contributo del lavoro degli immigrati nell’economia nazionale -ha detto- l’Italia deve crescere culturalmente e uscire dal provincialismo che oggi la caratterizza”.
Il resoconto dell'Agenzia AGI