Servivano sangue e morte affinché il mondo si voltasse verso uno dei paesi in cui i diritti umani vengono violati nell?indifferenza internazionale.
In Myanmar, tra settembre e ottobre, si sono svolte varie manifestazioni guidate dai monaci buddisti: le proteste si sono dirette contro la giunta militare che da quarantacinque anni governa lo Stato con una dittatura considerata tra le più feroci del mondo. I monaci lottano a favore dell’introduzione della democrazia e contro il recente aumento dei prezzi (in particolare del carburante) in un paese estremamente povero, distrutto dal regime.

I monaci buddisti, infrangendo l’ordine di rientrare nei monasteri, hanno guidato numerose manifestazioni pacifiche, caratterizzate dalla preghiera, che hanno raccolto oltre 300mila persone in più di venti città.
I capi dell?esercito governativo hanno avanzato delle minacce: se i monaci non rispetteranno i regolamenti di obbedienza ?verranno adottati alcuni provvedimenti in base alla legge in vigore”. E così è stato: il governo ha risposto alle proteste con una dura repressione.
Tuttora queste persone rischiano di essere arrestate, torturate e, come è già successo nei giorni scorsi, uccise.
I monaci però non hanno fermato la loro marcia, in difesa della democrazia e dei diritti umani violati da decenni in Myanmar: hanno sfidato il divieto di tornare in piazza arrivato dalla gerarchia ecclesiastica controllata dal regime e si sono rifiutati di rientrare nei monasteri. Non erano soli nella pacifica rivoluzione: migliaia di persone si sono unite alla marcia. I religiosi hanno chiesto alla popolazione di pregare, di non commettere violenze e di non scandire slogan politici. In breve tempo erano almeno diecimila le persone che dalla Pagoda d’Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese, si sono dirette verso il centro della città, sfilando davanti alla sede quasi in rovina della Lega Nazionale per la Democrazia, la maggiore forza di opposizione guidata da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991, agli arresti domiciliari dal 2003.
Il Consiglio di Sicurezza Onu ha emesso una dichiarazione sul Paese, in cui condanna il comportamento della giunta birmana contro le manifestazioni pacifiche e l?uso della forza contro personalità ed istituzioni religiose.
A quasi un mese dagli scontri, il Myanmar è praticamente scomparso dalle pagine dei quotidiani, che gli hanno dato voce per alcuni giorni: mentre i diritti umani vengono calpestati a colpi di arma da fuoco, questo paese già sembra ?non far più notizia?.