Sono a Nairobi?.praticamente in convento!! Per fortuna le suore (salesiane) sono simpatiche, e soprattutto è una struttura grande e ci sono anche altre persone. E poi c?è anche una casa ?orfanotrofio?, dove passo la maggior parte del tempo. Ci sono 30 bambine, tra i 4 e i 14 anni. Sono carinissime?.e tutte uguali! No, naturalmente non sono uguali, ma io non riesco proprio a distinguerle. E la cosa divertente è che loro non riescono a distinguere me da un?altra ragazza italiana che c?è qui?.e giuro che non ci assomigliamo per niente!
Hanno tutte storie terribili alle spalle: abbandonate, maltrattate, violentate. Una delle bambine veniva chiusa in gabbia dalla mamma, una prostituta che in questo modo si sentiva tranquilla e libera di uscire di casa o di ?lavorare? nella stanza accanto. Un?altra bambina ha visto il padre uccidere la madre.

Certo ora sono abbastanza serene e sono fortunate ad essere qui. Nairobi è piena di orfani (la maggior parte a causa dell?AIDS), bambini di strada . Ed è piena di orfanotrofi, che però a volte sono grandi stanzoni dove ragazzini di ogni età vengono rinchiusi e non raramente vengono ?usati? dai guardiani stessi.
Insomma, Nairobi non è certo una città senza problemi.
Le statistiche dicono che oltre metà dei suoi abitanti vive nell?1,5% del territorio totale della città, le baraccopoli (slum). E oltre al fatto che questo territorio appartiene al governo (che quindi in ogni momento può decidere di abbattere le baracche, e spesso lo fa), l?80% dei ?baraccati? paga l?affitto per quella che è una casa di lamiera di 3 metri per 4, dove vivono almeno in 5 o 6.
La cosa impressionante è che negli slum non vivono solo i più poveri, disoccupati o emarginati.
John da 20 anni è autista qui dalle suore. Il suo stipendio è regolato da una sorta di ?codice? dei salesiani ed è almeno 3 volte quello di un qualsiasi operaio o impiegato a Nairobi. È un omone grosso, sempre sorridente. John vive a Kibera, lo slum più grande di Nairobi, dove vivono quasi 1 milione di persone. Anche Patrik, Winnie, Gladis, Simon? Praticamente tutte le persone che qui lavorano vengono da Kibera.
Il problema, mi spiegavano, è che se anche una persona ?ce la fa?, c?è la famiglia da aiutare. Tutta. Figli, cugini, nipoti?e si sa, le famiglie africane sono ben numerose! Per cui il sogno di uscire dallo slum, purtroppo, quasi sempre non si avvera.

Il fine settimana invece sono stata a Dagoretti, a mezz?ora da qui. Lì la casa (sempre delle suore) è in mezzo a uno slum, una baraccopoli.
Quando sono arrivata c?era catechismo. Io mi sono seduta in fondo, dietro ai bambini. All?inizio non si sono accorti di me, seguivano attenti la catechista (io non capivo niente, parlava in swahili). Poi, piano piano, mi accorgo che i bambini mi hanno visto. Cerco di non incrociare i loro sguardi, non li guardo ma con la coda dell?occhio vedo che mi osservano. Era divertente vedere sbucare tra tanto nero quegli occhietti bianchi. Sembravano delle lucciole che qui e là si accendevano nel buio e poi si spegnevano.
Non sembravano spaventati e forse neanche troppo sorpresi (ci sono anche suore bianche qui).
Piuttosto, incuriositi: che ci fa questa Mzungu (che vale per qualsiasi europeo) qui?
Poi la catechista (una suora?naturalmente) che sapeva del mio arrivo mi chiede di salutarli. Allora gli dico da dove vengo e il mio nome (in inglese, anche se loro non lo sanno proprio bene). Come già le altre volte ridono. Non hanno mai sentito questo nome e non riescono neanche a dirlo bene. Poi mi cantano una canzone di benvenuto. Fuori, finita la lezione, mi vengono vicino, mi toccano i capelli, giochiamo un po? insieme?. E il giorno dopo, facendo un giro insieme a una suora giovane per il quartiere?.i bambini ci seguivano urlando Sister Chiala!!! Ora sto cominciando a studiare un po? di Swahili?così la prossima volta riesco a fargli capire che non sono una suora!

Faccio anche un giro per lo slum, accompagnata da una signora che nello slum vive.
La sua casa, a differenza di quella della maggior parte delle persone che vivono qui, è di mattoni. Certo è piccolina, il tetto basso, il bagno fuori. Ma di un livello superiore. Lo si capisce anche dalla quantità di mobili, quadri, divani racchiusi in un salotto che misura meno di 3 metri quadrati. Non ci si può muovere! Questo è lo stile africano: ostentare quello che ci si può permettere di avere. Per cui anche per strada, nonostante i 30 gradi, si vedono signore con vestiti coloratissimi di velluto e poi, perché no, uno scialle sopra, magari di lana.
D?altra parte è anche, forse, l?unico modo per mostrare il proprio status. Il passaggio dallo slum a una casa normale è veramente difficile e allora per ?salire di un gradino? rimanendo nella baraccopoli?.ci si riempie la casa di nuovi acquisti. Pazienza se poi, ogni volta, per aprire una porta bisogna spostare tavolino e divano!