A ben guardare, i significati delle feste sono tanti quante sono le persone che festeggiano, cambiano -nella vita dei festeggianti- con il passare del tempo e cambiano con il mutare delle sensibilità nella vita sociale. Il natale non fa eccezione.
Chi di noi non ha mai detto o pensato “mi ricordo quando il natale era diverso…”, ovviamente quel “diverso” non ha lo stesso significato per un ventenne, un cinquantenne o un ottantenne e probabilmente nei ricordi incide più quanto siamo cambiati noi di quanto non sia cambiato il natale. Tuttavia è vero che nell’inquietudine e nella mutevolezza culturale che caratterizzano questi decenni anche le modalità di rappresentazione del natale hanno registrato notevoli variazioni in scia alle mutate sensibilità -o a volte semplicemente alle mode- culturali. Nell’allestimento dei presepi, ad esempio, la rappresentazione classica del racconto evangelico della nascita di Gesù ha conosciuto molte “attualizzazioni” in chiave storica, sociale, economica, etnica, ambientalista… nel tentativo di evidenziare l’attualità dell’evento traducendolo -anche plasticamente- in linguaggi e modalità diversi.
In realtà proprio i continui tentativi di “tradurre” il natale in un linguaggio che lo renda più comprensibile o attuale sono la prova che si percepisce in questa festa un nocciolo duro, un contenuto (il significato, appunto) che esiste indipendentemente dalla forma con cui è rappresentato. Innumerevoli sono le chiavi interpretative con cui il messaggio è stato riproposto nelle diverse epoche e circostanze.
Una di queste chiavi interpretative -che ho trovato particolarmente interessante ed attuale- è quella utilizzata da Benedetto XVI nella messa di mezzanotte del natale 2009. L’omelia analizza la scena della nascita e si sofferma sulla figura dei pastori vigilanti nella notte evidenziando come l’evento ebbe la possibilità di raggiungerli proprio perché erano svegli. Ma -si chiede- cosa significa essere svegli? “La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato.”
E’ naturale che ognuno abbia i propri interessi e le proprie opinioni personali, quello che non va è che in essi ci si rinchiuda crogiolandosi in un torpore che tanto assomiglia al sogno e poco alla veglia. Un arroccamento che -alla lunga- inibisce il collegamento con gli altri e ci condanna all’inconciliabilità reciproca.
Per i cristiani il messaggio del natale si declina -almeno in prima battuta- in chiave religiosa sollecitandoli a leggere l’evento della nascita di Gesù come il punto di intersezione “fisica” tra la storia dell’uomo e la trascendenza di Dio. Stare “svegli” è dunque la condizione perché questo evento possa essere accolto e consenta loro di trasformare la propria vita. Tuttavia anche per i non credenti lo stare “svegli” è la condizione per non rinchiudersi del proprio “minuscolo mondo privato”, ricollegarsi agli altri ed “entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti”. Certamente sono natali diversi: uno radicato nella fede e nella trascendenza, l’altro radicato nel progetto umano di una storia che riesce a conciliare i conflitti e a costruire una società più giusta e coesa. Sono natali diversi nelle radici, ma simili nei frutti.
Buon natale a tutti (a ciascuno il suo).