Questa guerra ci sembra più grave di altre perché è più vicina e ha protagonisti e luoghi più simili a noi. Davanti alle terribili immagini dei bombardamenti, dei morti e dei profughi, il nostro bisogno di informarci per seguire gli sviluppi degli eventi ci dà l’impressione di partecipare, quasi di interagire empaticamente con quelle persone che vediamo soffrire. Ma non illudiamoci: la nostra attenzione e le nostre emozioni sono prodotti velocemente deperibili e a tutto questo dolore ci assuefaremo presto, come è stato per i morti in Afghanistan (che continuano quotidianamente a morire di guerra, di fame e di freddo anche se non ce ne occupiamo più) o per le continue morti dei migranti nel Mediterraneo che ormai vengono (se vengono) dopo le previsioni del tempo o -addirittura- per il numero di morti quotidiani di Covid del quale ci scopriamo incredibilmente a pensare “va meglio oggi: sono solo 180…”.
L’attenzione diminuirà e le emozioni si attenueranno perché l’abitudine è il migliore degli anestetici, perché ci difendiamo dalla sofferenza e ci annoiamo della ripetitività. Non è una questione etica, si palpita e si soffre per quello che ci tocca da vicino, finché ci tocca da vicino e finché chi ci informa tiene alto il flusso degli stimoli. Non siamo cinici, ci dispiace sinceramente per tutte quelle persone che in televisione vediamo soffrire, ci rendiamo perfettamente conto che le nostre difficoltà non sono paragonabili a quelle di chi ha perso tutto, tuttavia il prezzo della benzina e della bolletta del gas ci tocca più da vicino dell’assedio di Mariupol, del quale -al netto del trasporto emotivo- siamo sostanzialmente spettatori, mentre dall’aumento delle bollette siamo coinvolti di persona e non ci basta il telecomando per cambiare argomento.
La misura delle nostre attenzioni e l’intensità delle nostre emozioni dipendono più dalla comunicazione che riceviamo -e da come ci viene proposta- che dai fatti in sé di cui non abbiamo esperienza diretta. Le narrazioni e -soprattutto- le interpretazioni che di quei fatti ci vengono proposte sono spesso diverse e alla fine ci sembra di essere partecipi e coinvolti solo se scegliamo per quale interpretazione parteggiare. Il rischio è che -una volta scelta la curva per cui tifare- tendiamo a perdere capacità critica e ad accettare solo le informazioni che la confermano, rifiutando a priori quelle che la indeboliscono.
Di fronte ad una situazione così grave è forte l’esigenza di avere costantemente notizie e ci sentiremmo colpevoli di insensibilità se ce ne fregassimo: meglio allora informarsi con l’intenzione di capire che informarsi con l’ansia di capire da che parte stare. Dovremmo imporci un’attenzione critica, ma non è facile perché spesso non abbiamo la competenza per padroneggiare eventi storici di vari decenni, per distinguere i fatti dalla propaganda, per valutare se le notizie sono inserite nel giusto contesto o se sono riferite con omissioni, esagerazioni o distorsioni. E allora? Come facciamo a saperlo? Come facciamo a capire di chi possiamo fidarci? Non c’è una risposta netta a queste domande, nessuna delle fonti può garantirci la sicurezza assoluta, benché siano diversi i livelli di attendibilità. Ancora una volta constatiamo che un bisogno non genera automaticamente un diritto: il nostro bisogno di capire e di farci una opinione deve trovare risposta nella fatica di differenziare le nostre fonti, di integrarle tra loro e di non cedere alla tentazione di limitarci a confermare le convinzioni che già abbiamo.
La guerra è sempre una brutta storia, facile da cominciare e difficilissima da finire. Non conosceremo mai tutte le cause che l’hanno preceduta, né saremo in grado di prevedere tutte quelle che ne determineranno l’evoluzione, e poi -alla fine- non è questo il nostro mestiere. Il nostro mestiere è cercare -per quanto possibile- di capire cosa sta effettivamente succedendo per poter decidere l’atteggiamento più giusto evitando di lasciarci travolgere dall’ansia, di metterci a giocare a Risiko e di dimenticare tutto il resto.
Ci aspetta una primavera in cui dimostrare il nostro equilibrio tra ragione e passione, essere concretamente solidali con chi paga più cara questa follia, apprezzare di più quello che abbiamo e che davamo per scontato: è un’ottima opportunità. Buona primavera, in tutti i sensi.