Un pomeriggio di alcune settimane fa, mi trovavo a Firenze per lavoro e, in un momento di pausa, sono andata in un parco pubblico per una breve passeggiata. Mi sono trovata nel bel mezzo di un set televisivo, dove si girava un documentario sul Bibliobus, una specie di biblioteca mobile, per raggiungere anche quelle persone che raramente frequentano librerie ed affini. Lì trovo una scolaresca e tra loro mi colpiscono due bambine di dieci anni, che chiacchieravano amabilmente tra loro sul ruolo che avrebbero interpretato nel filmato. Una dice all’altra “ma è la prima volta che lo fai?” e l’altra risponde ” no, è una vita che cerco di sfondare in televisione, ma ancora non ci sono riuscita”. Mi sono allontanata molto turbata, perchè certe espressioni mi sembravano innaturali per quell’età e ho iniziato così a riflettere…
I nostri figli con quali valori crescono oggi, sempre più condizionati da un certo tipo di comunicazione, in cui solo se appari esisti? Se alzi la voce e sei sopra le righe diventi immediatamente un personaggio? Ci troviamo di fronte ad un’omologazione del pensare e sembra che le famiglie si siano rassegnate a questo fenomeno, non sentendosi in grado di contrastare con progetti validi questo imbarbarimento culturale. Credo anche che noi genitori siamo le prime vittime di questo livellamento del pensare, le cui origini sono anche nella televisione commerciale. Certo fa comodo lasciare i figli davanti alla Tv, anch’io l’ho fatto a volte, ma ho imparato una cosa sulla mia pelle: la Tv va guardata insieme con loro, anche quella che ci fa schifo e che è molto lontana dai nostri gusti. Solo ragionando insieme è possibile sperare che si creino una coscienza critica, che riescano a distinguere il programma spazzatura da quello culturalmente valido o semplicemente divertente. È importante inoltre che non passi una logica perversa che ti fa credere che tutta una vita possa “giocarsi” in una serata, che studiare, lavorare e sacrificarsi non valgano nulla di fronte ai facili premi dei programmi-milionari che vendono sogni. Non si può vivere solo di Grandi Fratelli o di giochi dei pacchi. La fortuna esiste, ma non può essere l’obiettivo di una vita. I ragazzi devono convincersi che non è tutto facile e che il sacrificio è un valore che ti consente di apprezzare le opportunità che la vita ti riserva. Vivere deve essere bello, non per forza facile. È bello concorrere, ma se si perde non è un dramma; è bello emergere, ma senza danneggiare il prossimo. Bisogna tornare a ragionare in proprio, la Tv deve tornare a fare anche cultura, e bisogna rifiutare il pensiero che è inutile pensare.