In uno degli articoli di commento alla decisione della giunta comunale di Roma di procedere alla costruzione di un termovalorizzatore per i rifiuti non riciclabili, si evidenzia una contraddizione nelle posizioni avverse: chi sostiene l’inopportunità di tale decisione, che considera inquinante, sembra preferire -come già avviene e avverrà sempre più spesso essendo ormai sature le discariche- il trasferimento di quei rifiuti perché vengano “termovalorizzati” altrove (ovviamente pagando il servizio); come se il problema non fosse dunque il metodo, ritenuto inopportuno, ma la collocazione dell’impianto. Come dire: se non c’è altra soluzione fatelo, ma non qui.
La usatissima espressione NIMBY (Not In My Back Yard=”Non nel mio cortile“), descrive il rifiuto pregiudiziale di una decisione che coinvolga il proprio “territorio” in senso letterale o figurato. L’aspetto più paradossale della reazione NIMBY è che spesso essa scatta -in un individuo o in un gruppo- anche quando la decisione proposta è condivisa nel merito per la sua ragionevolezza, opportunità o inevitabilità. Non equivale dunque necessariamente a “non sono d’accordo, questa cosa non va realizzata né qui né altrove!”, ma piuttosto a “posso anche essere d’accordo con la decisione, ma questa cosa non va fatta qui, ovunque ma non qui!”.
Non sempre il rifiuto si oppone a un “qui” territorialmente fisico, il “qui” può significare -in senso figurato- anche “ovunque ma non con me”, “ovunque ma non in mio nome, “ovunque ma non adesso”, “ovunque ma non lo voglio sapere”… insomma il focus dell’affermazione è il rifiuto ad essere coinvolto, a sentirsi corresponsabile della decisione da prendere o della posizione da sostenere, a sentirsi partecipe del problema e quindi a farsi carico -in qualche modo- anche della soluzione da trovare.
Ho l’impressione che questo approccio vada affermandosi in misura crescente estendendosi -in modo preoccupante- anche ad ambiti più delicati e determinanti. Non è forse una declinazione “evoluta” dell’approccio NIMBY anche la difesa ad oltranza dei propri interessi di categoria senza cercare un punto di equilibrio con gli interessi degli altri? Non lo è l’affermazione assoluta dei propri diritti -considerati intoccabili- anche quando il prezzo della loro intoccabilità viene pagato dalla negazione o limitazione dei diritti altrui? Non lo è –anche nei confronti della guerra in Ucraina- l’allontanarci progressivamente dalla tragedia delle vittime, spostando piuttosto l’attenzione sui risvolti che ci riguardano (il prezzo del gas, il costo del sostegno, l’onere dell’accoglienza dei profughi), quasi sperando di trovare un modo per “sfilarsi” invece di mantenere alti la nostra partecipazione e il nostro impegno?
L’approccio NIMBY è la sintesi moderna dell’atteggiamento interiore del sacerdote e del levìta che sulla strada che scende da Gerusalemme a Gerico incontrarono quel poveretto aggredito e derubato dai briganti: erano certamente d’accordo che una decisione andasse presa e qualcosa andasse fatto ma -pensarono- “not in my back yard”. Per sua fortuna passò poi lo straniero che se ne prese cura. Finché possiamo è meglio scegliere con generosità e lungimiranza se rendere disponibile il nostro cortile o tenerlo sbarrato.