Don Picchi, le droghe sono tutte uguali, vanno considerate allo stesso modo?
“Naturalmente no. Sono diversi gli effetti, le modalità d?assunzione e, spesso, anche le intenzioni e le attese dei consumatori, cioè il valore e il significato che chi ne fa uso dà a una certa sostanza in una certa situazione della sua giornata o della sua vita”.
Allora è sbagliato eliminare la differenza tra droghe leggere e droghe pesanti?
“Sono da sempre contrario a questa distinzione, perché ciò che conta è il rapporto tra la persona, la situazione e la sostanza. Un tredicenne che ripone nella marijuana la grande speranza di risolvere tutte le angosce, paure e ansie della sua adolescenza, può essere una persona in difficoltà ancor più di un quarantenne che sniffa cocaina per divertimento. Non sono le tabelle, le quantità minime e massime che contano, sono le persone”.
Proprio lei poco tempo fa ha rilanciato l?allarme, dicendo che il silenzio sulla droga può fare molte vittime ed è il momento che il problema torni alla grande ribalta. È soddisfatto?
“Parlare di droga non può ridursi alle questioni della punibilità e della legalizzazione. La stessa legge, qualunque sia stata in passato e qualunque sarà in futuro, è solo uno strumento e dipende dall?uso che se ne fa. Dobbiamo tornare a parlare della persona che si droga o della persona che si trova o troverà di fronte a una droga e deve fare una scelta. Dobbiamo parlare di prevenzione. Ancora non so che cosa dice il ddl. Questo è il punto cruciale. È fondamentale il coinvolgimento della scuola, delle famiglie, delle associazioni, delle parrocchie, dei mezzi di informazioni, dello sport, del mondo dello spettacolo, del volontariato e naturalmente delle pubbliche istituzioni che si occupano di giovani, di educazione, formazione, lavoro”.
Si propone di punire comunque anche il semplice uso di qualsiasi droga, sia pure con sanzioni amministrative?
“Credo che sia necessario ragionare con calma, senza drammatizzazioni pregiudiziali. Chi non mette la cintura di sicurezza in auto viene punito con i famosi punti della patente e una multa. Chi guida dopo aver bevuto troppo alcool viene fermato. Mi pare che lo stato in cui si trova chi ha consumato droga sia incompatibile per esempio con la guida di un motorino, per evitare pericoli agli altri e prima ancora a se stesso. Lo stesso discorso vale per chi è alla guida di un pullman o di una gru. Inoltre, per puntare tutta l?attenzione sulla cannabis, non vanno dimenticate le anfetamine e simili, come l?ecstasy, i cui danni al cervello e al sistema nervoso possono essere enormi. In nessuno di questi casi, comunque, stiamo parlando di criminali. Non possiamo criminalizzare con troppa facilità”.
Ma si dice che è questo pugno di ferro che l?Italia vuole, soprattutto le famiglie e gli insegnanti.
“L?Italia che io conosco è fatta di genitori e di insegnanti che non vorrebbero mai che i loro ragazzi fossero trattati da criminali o puniti severamente perché fumano spinelli. Ci sono genitori e insegnanti che usano anche loro marijuana. Inutile scandalizzarsi. Non è un bene, certo, anzi io dico che è un male sia per loro sia per i loro figli e allievi, ma dobbiamo lavorare sulle motivazioni, sulla cultura, sui valori, sui costumi, sulle influenze positive, non su privazioni, castighi, condanne, carceri”.
Lei che cosa farebbe in questa materia se fosse un membro del governo?
“Credo che ognuno debba fare il proprio mestiere. Però suggerisco a chi governa di affrontare con serenità i problemi, di conoscerli più da vicino, di non creare barriere gli uni contro gli altri. Altrimenti non si fa il bene di nessuno. Nel concreto, aiutare le famiglie che rimangono, come ha autorevolmente dimostrato il Censis in una recente ricerca, quelle che mantengono ancora unita una società sempre più individualista. Aiutare gli insegnanti con più spazio per la loro autonomia e creatività, sostenere le loro motivazioni anche con forti incentivi economici, perché combattere tutti i giorni in prima linea con le frustrazione, le ansie, i desideri, le speranza di milioni di giovani non è come archiviare dati in un computer o aprire e chiudere pratiche in un Ministero. Aiutare gli operatori del sociale e del sanitario a prepararsi meglio, ad aggiornarsi, a conoscere da vicino la realtà attuale e in continua evoluzione.
Inoltre, creare spazi positivi di aggregazione per i giovani, pensando allo sport, alle espressioni artistiche, al volontariato, sulla scia dell?ottima istituzione del servizio civile volontario. E dare ai ragazzi, fin da giovanissimi, la possibilità di contare qualcosa, d?essere ascoltati, di poter dire la loro, e di assumersi così anche delle responsabilità. Se tanti giovani sono irresponsabili la colpa è anche degli adulti”.
Senza punire nessuno?
“Mi preoccuperei di punire quei medici e professionisti che spingono gli atleti a doparsi. Di boicottare quei personaggi dello spettacolo e quegli spettacoli che istigano alla violenza di ogni tipo e all?uso di droghe. Vorrei rimuovere dal loro posto, e sostituire, certi insegnanti demotivati e incapaci, che per fortuna non sono la maggioranza, ma che fanno più male che bene.
Vorrei che i giovani vedessero chiunque ruba, corrompe, imbroglia, baratta favori mandando avanti gli amici e stroncando le carriere degli altri finire condannato. Magari a pene sociali più che detentive. L?esempio di ex presidenti del consiglio che hanno sbagliato e sono stati obbligati a lavorare in centri di volontariato è un bell?esempio di civiltà, anche giudiziaria. E questo potrebbe valere anche per reati minori legati alla droga. Come quei ragazzi che imbrattano i muri e poi non finiscono in carcere, grazie a Dio, ma a ripulire i muri più belli di prima”.
È la società che deve cambiare per avere meno droga?
“Evidentemente sì. Un ragazzo trova difficile dire di no alla droga se nel suo futuro vede solo guerre ?preventive?. Ma rifiuterà difficilmente la droga anche se nel suo futuro vede solo concorsi truccati dove non potrà mai emergere perché nessuno lo raccomanda”.
Le comunità terapeutiche sono attrezzate per rispondere alla richiesta di aiuto?
“Certo, e non solo le comunità, che rappresentano una piccola parte nel quadro dei servizi di recupero. Parlo di quelle strutture che hanno saputo rinnovarsi nel tempo ed essere molto flessibili nei modi e negli strumenti. Solo che bisognerebbe moltiplicare i servizi, soprattutto quelli più leggeri, dove i giovanissimi possono trovare un consiglio, un operatore, un gruppo di riferimento, senza dover condividere la stanza con persone eroinomani da decenni con tutt?altri problemi”.
Nel nuovo disegno di legge si parla di maggiore autonomia delle comunità e delle strutture del privato sociale dai SerT. Per voi è una battaglia vinta?
“Non direi, perché non c?è nessuna battaglia da vincere. È vero, ci siamo trovati qualche volta con utenti da tempo in contatto con noi, per i quali sapevano quale fosse il percorso più utile da intraprendere e per i quali i Sert hanno improvvisato tutt?altra soluzione. Ma credo che la collaborazione tra pubblico e volontariato debba continuare, anzi migliorare, perché ognuno ha competenze diverse e complementari. Se si hanno gli stessi obiettivi, e cioè aiutare la persona a riacquistare la propria indipendenza, la propria libertà e la propria dignità, più si lavora insieme e meglio è, soprattutto per i cosiddetti utenti”.