Dal 23 al 30 luglio alcuni amici di PRAXIS stanno realizzando a Selva di Val Gardena un seminario sul “politichese”, anzi su come sopravvivere al politichese.
Stanno in sostanza cercando di smontare quel linguaggio, spesso utilizzato dai politici, che dice senza dire e fa sembrare significativo quello che è secondario, omettendo invece ciò che davvero conta.
Si tratta di quel linguaggio che alla fine diventa, come dice Klemperer (“La lingua del Terzo Reich”), “strumento di omologazione del sentire comune, di orientamento delle coscienze, di trasmissione di convinzioni e atteggiamenti mentali, con lo scopo di farli assumere ad altri inconsapevolmente”.
Sono quelle frasi e quei modi di dire che finiamo tutti per utilizzare senza più preoccuparci di quello che significano, senza contestualizzarli, senza chiederci se abbiano davvero senso.
Nessuno si stupisce, ad esempio, se il sindaco afferma convinto che il suo vice “esce dalla giunta, ma resta in squadra” o se il suo predecessore costruiva interi discorsi sulla proverbiale locuzione del “ma anche”, affermando cioè qualcosa e poi, per non scontentare nessuno, anche il suo contrario.
Perché quando un politico afferma solennemente che vuole perseguire una maggiore equità o risolvere finalmente un annoso problema (dilungandosi ovviamente sulle drammatiche conseguenze della sua mancata soluzione) nessuno si chiede, e soprattutto “gli” chiede, di dire anche “come” intende farlo? Forse proprio perché il “politichese” ha funzionato, ha ottenuto il suo effetto analgesico e anestetico riuscendo ad evitare di parlare del merito delle cose, per restare nel limbo delle parole inutili.
Il seminario si propone insomma di smascherare i trucchi e gli artifici retorici che consentono al politichese di funzionare e individuare degli “indicatori di contenuto” utili a costringere il linguaggio politico a fare i conti con la realtà.