L’INTERVENTO DEL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO AL CONGRESSO NAZIONALE DELLA MARGHERITA
Cari amici del Congresso della Margherita,
oggi siamo dinanzi a un bivio, forse come mai prima d?ora. Il bivio tra la cronaca e la storia. La cronaca è evidentemente quella caratterizzata dalle tante povertà e dalle tante debolezze che hanno scandito la nostra vita politica interna e la percezione che di essa abbiamo fornito all?esterno. Debolezze e povertà rispetto alle quali, negli ultimi anni, abbiamo formulato analisi e proposto soluzioni spesso variegate e diverse tra loro.
Adesso, tuttavia, siamo qui per superare tali diversità e per percorrere insieme un cammino ambizioso, nell?ambito di un disegno politico che non possiamo certamente immiserire nel dibattito, dai toni spesso aridamente burocratici, sull?adesione o meno a una organizzazione partitica internazionale. Più in generale, allora, il vero bivio di fronte al quale ci troviamo è di quelli che fanno tremare le vene ai polsi. Dobbiamo scegliere tra due strade. Da un lato, candidarci a fare i semplici manutentori dell?esistente. Dall?altro, dimostrare di avere l?ambizione di creare qualcosa di nuovo, di diverso.
Noi scegliamo la seconda opzione. Vogliamo costruire una storia nuova. Non vogliamo essere i manutentori del passato, anche se sappiamo che questo è molto più semplice che creare qualcosa di nuovo. Qualcosa che non c?è ancora perché il Partito democratico non c?è ancora. Però i democratici già ci sono. Ci sono, ad esempio, nei gruppi parlamentari. E la dimostrazione sta nell?accoglienza che il congresso dei DS ha riservato ieri a Dario Franceschini e in quella che noi abbiamo oggi tributato ad Anna Finocchiaro. I democratici già ci sono nel Paese. Qualche tempo fa ho fatto un?esperienza esaltante con Pierluigi Bersani sulla strada dei distretti industriali italiani. Talvolta non ci distinguevano, non capivano la differenza tra noi due. Però a tutti interessava la concretezza delle nostre argomentazioni. Argomentazioni, beninteso, condivise. I democratici poi ci sono già nelle citazioni dei discorsi pronunciati nei nostri due congressi. Rimbalzano da qui a Firenze, andate a risentirle: stessi toni, medesimo approccio. I democratici già ci sono perché hanno vissuto l?esperienza delle primarie, indicando insieme il candidato della coalizione di centrosinistra, oggi capo del governo, Romano Prodi.
Per tutte queste ragioni sappiamo che il compito che ci aspetta è quello di estrarre questo Partito democratico da quanto fatto negli ultimi anni. Il compito di estrarlo e liberarlo, come Michelangelo estraeva la forma prigioniera del blocco di marmo. E come, in un posto vicino alle mie parti, sulle Alpi Apuane, si stacca il blocco di marmo dalla cava. Lì lo definiscono atto del «varare», come se il blocco di marmo fosse una nave che esce dal cantiere, una nave che «si stacca» dal porto. La navigazione per noi è cominciata da tempo. Non possiamo che andare avanti convintamente su questa strada.
Ma allora che forma vogliamo dare a questo Partito democratico?
Deve essere il partito dell?Italia. Noi siamo federalisti, ma il federalismo vero lo potrà fare soltanto un partito nazionale, come sarà il Partito democratico, che appunto ama l?Italia. Per questo è indispensabile non accontentarsi di quello che siamo. Ad esempio, alle prossime elezioni regionali dobbiamo candidarci a vincere tanto in Lombardia quanto in Veneto. Allo stesso modo abbandoniamo l?idea che una terra fondamentale per l?intero Paese come la Sicilia sia una Regione persa per sempre per il centrosinistra. Non è così.
Il Partito democratico, quindi, come partito dell?Italia. Come partito interclassista e intergenerazionale, che superi ? sono io il primo a dirlo ? la sciocca contrapposizione tra giovani e vecchi. Partito di donne e di uomini: su questo punto assumiamo qui un impegno serio e cerchiamo di essere diversi da come siamo stati in passato, anche all?interno della Margherita.
Il Partito democratico deve essere poi un partito grande. Qual è la differenza tra un partito grande e uno piccolo? E? una differenza fondamentale. Il partito grande è quello dell?interesse generale, della visione d?insieme. E? quello in grado di rompere la forza dell?«Italia dei veti». Sappiamo che per superare il 30% dei voti non possiamo immaginare di fare semplicemente la somma dei voti delle tante categorie. Pur assommandole tutte, dobbiamo tuttavia essere consapevoli che per raggiungere il 30% dei consensi, dovremo andare in ogni famiglia italiana e almeno uno dei componenti di ogni famiglia italiana dovrà votare per noi. Il tutto a prescindere dalla categoria di appartenenza. E questo perché un simile risultato non si raggiunge scegliendo di rappresentare solo i lavoratori o solo gli imprenditori. Dobbiamo piuttosto presentare una visione d?insieme.
Una visione d?insieme intesa nell?accezione di ?interesse generale?. Ma cosa significa esattamente questa espressione? Che cos?è l?interesse generale? Chi può dirsene realmente portatore? Tutti noi riuniti qui in questa sala? Ciascuno ha il proprio interesse di parte, che viene dalla sua storia, da ciò che fa. E allora: qual è l?elemento che può garantire l?interesse generale? Ho riflettuto molto su questo nei giorni scorsi, preparando il mio intervento per quest?assise. E credo di aver capito un?unica cosa. E cioè che un partito grande, che ambisce a «rompere i veti» e a superare i particolarismi, è soltanto quel partito che assume come bussola di riferimento del proprio agire il bambino che ? esattamente in questo momento in cui io sto parlando ? sta nascendo in qualche parte d?Italia, a Livorno come a Taranto, a Massa Carrara come a Cagliari.
Il bambino che nasce oggi nel 2017 andrà a scuola, quasi alle medie, e forse troverà una scuola diversa perché il ministro Fioroni l?avrà resa migliore. Nel 2025 voterà per la prima volta. Sempre nel 2025 deciderà, se potrà o vorrà, di andare all?Università. Il bambino che nasce in questo momento è l?unico portatore dell?interesse generale. Proprio lui ci indicherà, domani, con quanta determinazione e responsabilità stiamo affrontando il nostro lavoro, oggi. Penso al compito forse più gravoso che ho avuto modo di seguire in questo primo anno di governo: l?emergenza rifiuti in Campania. Se la gestiremo con coraggio, assumendoci tutte le nostre responsabilità, quel bambino, se sta nascendo appunto in Campania, potrà vivere in un ambiente finalmente sano. A maggior ragione potrà farlo se saremo in grado di mettere a punto una politica energetica e ambientale in linea con le indicazioni che ci ha fornito stamattina Ermete Realacci. Oppure se costruiremo i rigassificatori, da intendersi non come un fatto di mero business, ma come una condizione indispensabile per la sicurezza energetica e la tutela dell?ambiente. Ancora: se faremo delle scelte di politica economica improntate anche al rigore economico, quel bambino non dovrà, come noi, caricarsi sulle spalle il peso di debiti contratti ieri, ma potrà gestire la sua vita e il lavoro, e risolvere i suoi problemi del momento, attraverso le proprie forze, costruendo il futuro senza scontare gli errori del passato. Quel bambino, nei prossimi anni, giocherà con altri bambini immigrati. E se noi non saremo capaci di creare un clima positivo di integrazione, quel gioco sarà un dramma. Un dramma per lui e un dramma per i bambini che giocheranno insieme a lui. Poi ? lo ripeto ? quel bambino diventerà grande, cercherà la sua vocazione e, se noi non saremo in grado di far dissolvere l?idea che vocazione personale e occupazione trovata siano cose distinte, sarà costretto, eventualmente dopo una raccomandazione come accade ancora troppo spesso in Italia, a fare un lavoro che non gli piacerà, che lo renderà triste. E? quanto succede in prevalenza oggi, in anni in cui l?Italia si attesta come il Paese con il più elevato tasso di infelicità d?Europa. Al contrario, noi dobbiamo assumere l?impegno di consentire a quel bambino di sviluppare e valorizzare fino in fondo la sua vocazione.
Se siamo qui il Partito democratico che vogliamo è quello che si lascia alle spalle gli anni Novanta. E? il partito che supera la dialettica tra partiti chiusi, anche troppo chiusi, e movimenti instabili, anche troppo instabili. Sarà Partito e Movimento insieme. Sarà una comunità politica, una comunità politica di pensiero, innanzitutto. Abbiamo avuto il «pensiero unico» dello scorso decennio. Poi abbiamo avuto il pensiero neoconservatore che tanti disastri ha provocato in questi primi anni del secolo. Oggi dobbiamo costruire insieme un nuovo pensiero, quello del comunitarismo. Soltanto la comunità politica del Partito democratico sarà in grado di elaborarlo e di proporlo politicamente. Questa comunità politica sarà anche una comunità politica organizzativa. Sarà, e dovrà essere, un partito aperto, oltre il solo incontro tra DS e Margherita. Soprattutto un partito aperto nel quale noi ? noi che dalla Margherita veniamo e dalla quale oggi entriamo nel Partito democratico ? vogliamo candidarci non al posto di numeri due. Facciamo attenzione: questa affermazione, apparentemente banale, comporta in realtà conseguenze semplici ma molto impegnative per noi. Se, infatti, decideremo di entrare nel Partito democratico con l?idea che per tutti i ruoli di leadership e per tutte le primarie si scontreranno due esponenti, uno rappresentativo della storia della Margherita, l?altro di quella dei DS, ci candideremo automaticamente a fare i vice sindaci o i vice presidenti. Soltanto con candidature multiple, a tutti i livelli, potremo candidarci, con autorevolezza e speranza di successo, alla guida di questi processi. In caso contrario, avremo scelto uno stato di «minorità» all?interno di questa storia. Invece io sono convinto che se siamo qui è perché non abbiamo ambizioni basse. Anzi, le nostre ambizioni sono altissime. Per questo mescolarci è necessario. Per questo aprirci è necessario. Per questo è necessario ? e ciò che sto per dirvi potrà sembrare una forzatura, ma non lo è specie dopo l?applauso che ha accompagnato il saluto che Francesco Rutelli gli ha rivolto ieri ? dire a Marco Follini: «Vieni con noi nel Partito democratico, da subito». Lo diciamo a lui. Come lo diciamo ai tanti che attorno al Partito democratico hanno voglia di riprendere una militanza per una storia diversa.
Il Partito democratico deve essere il partito dei cittadini. So di toccare un tema delicato e preoccupante. Ma se affermiamo sempre che la sanità non è per i medici ma per i malati, se ripetiamo che la scuola non è per i professori ma per gli studenti, allora dobbiamo riconoscere tra noi che il Partito democratico dovrà con forza dire a chi ne fa parte e all?intero Paese che la politica non è per i politici ma è per i cittadini. Dobbiamo farlo con la consapevolezza che tutto questo ci obbligherà a scelte impegnative. Io non lo so qual è la vostra sensazione al riguardo. Vi dico, però, la mia. Avverto la sensazione che in giro covi, sotto le ceneri, lo spirito del ?92. Lo spirito delle monetine, nei confronti di una politica che non ha capito ancora oggi che il rigore e la sobrietà sono necessari.
Per il successo del Partito democratico, tuttavia, è opportuno non scartare un altro tema oggettivamente delicato, specie in una fase difficile come quella attuale, quale il successo dell?azione di governo. Ho difficoltà a immaginare un Partito democratico che racconta agli italiani il futuro bellissimo che vuole garantire al Paese e che oggi, praticamente con tutti i suoi leader impegnati al governo, non è in grado di risolvere i problemi che il Paese stesso ha quotidianamente dinanzi. Sappiamo che questa scelta per noi sarà complessa. Ma sappiamo anche che non possiamo aggirare questa sfida. Che dobbiamo fare meglio. Dobbiamo realizzare quello che è in cantiere e farne percepire i vantaggi. Dobbiamo fare di più e parlare di meno.
Io non ho un sogno. Però ho una certezza, che penso possa essere una promessa. Un patto che tutti dobbiamo sottoscrivere: abbiamo bisogno di far vedere fisicamente agli italiani ? agli italiani che oggi percepiscono una pensione di quattrocento euro, che veramente non arrivano alla fine del mese e ai quali ci siamo rivolti prima e durante la campagna elettorale ? che grazie alle nostre scelte (quelle già fatte e quelle che faremo nelle prossime settimane) avranno alla fine dell?anno un sostegno concreto al proprio reddito. Sempre da qui alla fine dell?anno dobbiamo dimostrare ai giovani laureati di essere in grado di costruire un percorso di riscatto della laurea ai fini contributivi che costi un terzo di quello che costa oggi. Allo stesso modo dobbiamo aiutare le coppie di giovani che devono metter su casa, facendo sì che proprio la politica per la casa sarà in cima alla nostra agenda. Nei prossimi sei mesi dovremo fare concretamente le cose fondamentali che Rosy Bindi ci ha indicato prima, a cominciare dalla riforma e dal sostegno degli assegni familiari. Ancora: entro l?anno sarà indispensabile lanciare segnali tangibili su un tema che è nostro, quello delle infrastrutture, e aprire i cantieri delle opere che Berlusconi ha promesso e non ha dato agli italiani. Abbiamo la possibilità concreta di farlo e dimostrare ai cittadini che la metropolitana di Roma e la metropolitana di Napoli possono essere un fatto concreto e tangibile. Allo stesso modo, quando apriremo il primo cantiere della pedemontana, sarà possibile dimostrare che si può andare da Varese a Como senza passare più da Milano. Così come dovremo trovare l?accordo perché tra la Sicilia e la Calabria le infrastrutture, da realizzare con le risorse prima destinate al Ponte sullo Stretto, vengano rapidamente selezionate e i cantieri siano aperti.
E allora cari amici, a testa alta, a viso aperto, sul futuro io ho tante speranze. Ma ho soprattutto una certezza, quella secondo la quale «l?avvenire è di coloro che non sono disillusi», per riprendere un?efficace frase di Georges Sorel. No, quindi, alla sfiducia preventiva tipica di quelli che pensano di saperla sempre un po? più lunga degli altri e che ti dicono ogni volta una ragione per non fare le cose. Viva la sana incoscienza di quello che stiamo facendo.
Infine, se mi permettete, concludo con una richiesta. Vorrei che chiedessimo tutti un dono per noi democratici che entriamo nel Partito democratico: il dono dell?ascolto. Oggi, se ci pensate bene, è la merce più rara. Tutti parliamo di tutto. Nessuno ascolta e si ascolta più. Quanta gente chiede a noi politici soltanto di fermarsi ad ascoltarla? Quanto è difficile farlo nel vortice continuo in cui sono prese le nostre vite? Eppure, quanto importante è l?ascolto! Quanto il discernimento!
Nel primo Libro dei Re, Salomone chiede al Signore: «Concedi al tuo servo un cuore docile all?ascolto perché sappia distinguere il bene dal male». Al Signore piacque che Salomone avesse domandato questo dono. «Non mi hai chiesto né la ricchezza, né una lunga vita, né la morte dei tuoi nemici. Quello che mi hai chiesto te lo darò, è il più importante dei doni, un cuore docile all?ascolto». Solo se questo dono lo porterà ciascuno di noi nella nuova avventura democratica, quell?avventura cambierà l?Italia. E noi l?Italia vogliamo cambiarla davvero.