Se è vero che alla speranza non c?è un limite è altrettanto vero che alla povertà, alla brutalità della strada, alle miserie, frutti della perversione e dell?opulenza di una società sempre più spinta alla massimizzazione del profitto, la parola fine è ancora un obiettivo troppo lontano e difficile da raggiungere; queste, in sintesi, le riflessioni dopo un pomeriggio di Pasqua trascorso alla mensa Caritas di ?Via Marsala? nata, alla pari di tante altre distribuite sul territorio, per soddisfare il bisogno primario dell?alimentazione, con l?obiettivo prioritario di promuovere la persona umana nella sua totale dignità.
La struttura è convenzionata con il Comune di Roma il quale eroga una parte delle quote per il servizio mensa, mentre un?altra parte proviene da raccolte e donazioni di singoli cittadini o associazioni; prende il nome di ?don Luigi Di Liegro? pioniere negli anni ?70 di una Caritas pensata per praticare ?una carità che tende a liberare le persone dal bisogno e quindi a renderle protagoniste della propria vita?.
E? il 1971, anno in cui venne istituita la Caritas Italiana, che segna il passaggio da una carità delegata ad alcuni (istituti religiosi), ad una carità partecipativa, ossia protagonista della vita di ognuno; secondo don Luigi il povero non doveva più essere solo un problema del cristiano, perché trattandosi ormai non solo di beneficenza ma di giustizia e servizi sociali, era giusto che la questione inglobasse tutta la società ed in particolar modo la politica.
Fin dall?inizio direttore della nascente Caritas diocesana Romana (1979), grazie alla mobilitazione di migliaia di volontari, intraprese una lotta contro la povertà, il disagio sociale, l?emarginazione, l?indifferenza, con l?intento di coinvolgere tutte le forze civili, politiche, ecclesiali nella realizzazione di un progetto a favore degli esclusi, degli emarginati; sono di questo periodo le prime mense, i primi ostelli, centri di ascolto, ambulatori, e il centro di via Marsala è proprio uno degli esempi di massima collaborazione tra istituzioni, volontariato e aziende pubbliche e private.
Un? esperienza importante perché stimolo a non voltarsi dall?altra parte e ad aprire gli occhi su di un mondo totalmente diverso da quello che abitualmente, secondo le nostre superficiali categorie mentali, consideriamo ?normale?, ma non per questo da discriminare, perché è proprio la sua eterogenea vastità che ci chiede ascolto e soprattutto rispetto: proprio lì, nell?incontro con l?anziano signore che desidera tanto dar voce a pensieri per troppo tempo prigionieri della solitudine, nella signora che in un dignitoso silenzio nasconde le sue angosce ei suoi dolori, in quel ragazzo sbattuto e sfiduciato, nella moltitudine di stranieri con una grande voglia di farcela, di lavorare, di integrarsi, si riversano tutte le contraddizioni della nostra società lasciando sgomento, incomprensione, a volte, paradossalmente, anche la gioia più pura.
Una società produttrice di benessere per pochi, generatrice di nuove povertà per tanti destinati a rimanere per sempre privi dell?essenziale come la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, la partecipazione; una società che se da un lato propone una cultura sempre più impostata sull?individualismo, sulla cura del proprio orticello, sull?interesse personale, dall?altro mostra un mondo nel quale le povertà si integrano, i resti dei banchetti lussuosi vengono divisi, la solidarietà e la condivisione del poco superano il disagio e l?angoscia che questi nostri fratelli giornalmente sperimentano e vivono.
In un mondo che cambia velocemente, in cui la forbice tra ricchezza e povertà interessa sempre meno di una semplice ?forchetta? tra i voti di un?elezione nazionale, credo sia doveroso fermarsi a riflettere per fare nostre sfide che la modernità propone ma che non possono essere scaricate su di un ?buonismo? generale, su una compassione di fondo che tutti colpisce e tocca ma che poi si traduce in semplici donazioni e inutili elemosine, utili solo come sollievo della nostra coscienza; la globalizzazione non interessa solo economia e tecnologia, ma anche povertà, paure, ingiustizie, guerre. Occorre a questo punto dar vita ad una carità globalizzata che, tradotta in termini pratici, possa voler dire pace, mondialità, interculturalità, incidenza sul territorio, che sia sempre più vicina ad ogni situazione di povertà, che non spinga, di fronte a certi ?spettacoli?, a voltar pagina, a cambiare canale, ad abbassare gli occhi e tirare dritto, ma a sporcarci le mani, come spesso ricordava don Luigi, per capire e intervenire su una realtà sempre più iniqua e allucinante.
Occorre a questo punto dar vita ad una carità globalizzata