Che significa audace? Quando una scelta è audace? L’aggettivo viene dal verbo latino audere «osare», dunque una scelta è audace quando osa andare oltre le attese ovvie, convenzionali (oggi si direbbe oltre il mainstream) e propone una visione diversa, un punto di vista nuovo.
In questi insoliti tempi di Covid quale potrebbe essere una scelta audace? Ad esempio un inatteso approccio alla pandemia, un modo nuovo di definirla e di considerarla, che ci solleciti un diverso atteggiamento. Nel bell’articolo “Il vuoto e la barca” (QUI), l’autore evidenzia che, preferendo la metafora della “tempesta” a quella della “guerra”, Papa Francesco ha “riorientato la percezione rispetto alla pandemia” perché “il passaggio dallo stretto piano belligerante al piano cosmologico ha coinciso con un allargamento di visione. Ha permesso, per esempio, di smantellare l’impulso iniziale di trovare un colpevole, accettando invece che la tempesta ci mostrasse tutti in una vulnerabilità che non vogliamo vedere e che ci coinvolge tutti in una ricostruzione che c’impegna globalmente.”
Indubbiamente sentirci travolti da una tempesta più forte di noi ci fa sentire estremamente vulnerabili, ma la vulnerabilità non deve essere un tabù, dobbiamo avere il coraggio di ammetterla e “l’audacia di abitarla come luogo dell’esperienza umana” ripartendo da essa “per approfondire il senso della nostra comune umanità”. Abitare la vulnerabilità è una scelta “audace” perché non ci obbliga a negarla per poter sperare di uscirne, ma ci spinge a costruire speranze credibili al suo interno, a condividerle e a verificarne l’efficacia insieme agli altri senza sentirci superuomini e senza limitarci a sperare passivamente che qualcun altro ci risolva i problemi.
Il concetto di “pasqua” risponde esattamente a questo bisogno di speranza. Sappiamo bene che ogni cultura e ogni religione propone e celebra un “passaggio” che segna la diversità, la rottura della ferialità, un nuovo inizio della vita: alcune culture lo legano ai cicli della natura, come gli antichi riti dell’equinozio di primavera o quelli della festa persiana di Nowruz; altre lo connettono alla memoria viva di eventi liberatori che della rottura e del nuovo inizio costituiscono la fonte e la ragione di speranza, come il Pesah ebraico e la Pasqua cristiana.
Saturi di pulcini, agnellini e uova colorate, dovremmo avere l’audacia di augurarci una buona pasqua nel senso di riuscire a vivere bene malgrado la nostra vulnerabilità, a non cedere alla tentazione di isolarci anche relazionalmente e a convincerci che la pandemia non ha il potere di ridefinire chi siamo rubandoci identità e futuro: noi -pandemia o non pandemia- restiamo noi stessi, ognuno con l’impegno a far prevalere le sue buone ragioni di speranza.
Buona Pasqua.