Ho ricevuto questa lettera da un mio amico negli Stati Uniti.

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Caro Amedeo, quest’anno è difficile farsi gli auguri di Pasqua.

Abbiamo ancora negli occhi gli orrori di Bucha e nel cuore la pietà sconsolata per chi li ha subiti e anche -benché di segno opposto- quella sbigottita per chi li ha inflitti. Quest’anno non riusciamo proprio ad immaginare rami di pesco fioriti, colombe con il rametto d’ulivo e uova semischiuse a celebrare la vita. Era tutto un sogno? Erano tutte illusorie le altre pasque? E quella serenità che derivava dal credere che alla fine della storia c’era comunque un lieto fine? Quest’anno ci sentiamo come i bambini quando scoprono che babbo natale non esiste, come se gli eventi ci avessero bruscamente risvegliato da un sogno irenico troppo a lungo accarezzato.

Qui a San Francisco siamo lontanissimi geograficamente dall’Ucraina, Kiev è a più di undicimila chilometri, ma è finito il tempo in cui bastavano i chilometri per stare lontano. La scorsa settimana già oltre 1.700 rifugiati ucraini sono arrivati a Tijuana, in Messico, sperando di riuscire a entrare negli Stati Uniti. Tijuana è a due passi da San Diego e giusto oltre il confine è stato allestito un centro accoglienza per chi fugge dalla guerra in Ucraina. Poiché il presidente Biden ha annunciato di voler garantire l’ingresso nel Paese a 100.000 profughi, circa 150 ucraini vengono accolti negli Stati Uniti ogni giorno. Gli altri sono in fila, aspettano e sperano.

Ma non illudiamoci, non è una questione di profughi e chilometri, è una questione di testa e di pancia. La testa fa fatica a trovare una ragione e la pancia dice alla testa che quella ragione non esiste, se escludiamo la replica interminabile di quel giorno in cui Caino portò Abele nel campo.

Quando, quarant’anni fa, Richard Bach pubblicò “Nessun luogo è lontano” (te lo ricordi?) quel titolo sembrava solo un’iperbole poetica, oggi gli ucraini li vedo qui dalla finestra e quello che succede a Kiev lo so quasi mentre succede. L’annullamento della distanza non è più solo un’iperbole, ma non stiamo affatto meglio. Anzi, questa compresenza spazio-temporale ci espone all’illusione di poter “esserci”, condividere, capire e giudicare e invece siamo al tempo stesso troppo vicini o troppo lontani per capire veramente cosa succede e -soprattutto- cosa possiamo fare per cambiare la storia e recuperare la speranza. E invece è urgente riuscire ad andare oltre l’orrore del presente e recuperare il senso della storia -personale e sociale- nella sua globalità: non è la prima guerra e purtroppo non sarà l’ultima, eppure -lo sappiamo- verranno altre pasque in cui riusciremo di nuovo a fare attenzione ai rami di pesco fioriti senza che ci sembrino fuori posto e fuori tempo. La più grande responsabilità non l’abbiamo verso il passato, ma verso il futuro: perché ci sia, perché sia migliore, perché altri verranno dopo di noi e a quel futuro hanno diritto.

E allora che pasqua posso augurarti quest’anno? Mi sono imbattuto in una riflessione di Erri De Luca di due anni fa e te ne trascrivo un passaggio. “Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme. Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale resurrezione.”  Tentiamo tutti di uscire dal nostro Egitto e agguantare un’altra terra e una nuova libertà, a volte ci sembra di riuscirci, a volte di fallire. Dobbiamo credere che quella croce piantata sopra Gerusalemme non è la fine della storia, che ci saranno altre pasque ed altre primavere. Questa non è delle più serene, ma è già successo infinite volte e ogni volta hanno avuto ragione quelli che hanno sperato che le cose potessero cambiare: è grazie al loro sperare che sono cambiate e che noi siamo qui a raccontarcela. Ora tocca a noi sperare e non dare per persa la partita. Dunque anche quest’anno buona pasqua, soprattutto quest’anno, perché è quando piove che è necessario sperare che il bel tempo tornerà. 

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Vi giro lo stesso augurio del mio amico perché certe volte -e quest’anno è una di quelle- sperare non è solo un diritto ma un dovere. Buona Pasqua.