Per riuscire a superare le difficoltà legate alla complessità dei problemi di salute cronici e riuscire a mettere in rete
le diverse strutture e i diversi operatori della rete socio-sanitaria coinvolta e prevenire la frammentazione dei servizi,
in questi anni, governo e amministrazioni locali hanno implementato i cosiddetti PUA, ossia i punti unici d’accesso. I PUA rivestono un ruolo importante anche nella riforma dell’assistenza territoriale promossa attraverso il PNRR.

Cos’è un PUA?
Riprendendo quanto scritto nella Legge Regionale 11/2016 sulle “Disposizioni per integrazione sociosanitaria”,
andiamo a vedere il loro funzionamento e gli obiettivi di tale forma organizzativa.

Il PUA si caratterizza quale “modalità organizzativa che, nell’ottica di fornire risposte integrate, complete e appropriate a bisogni semplici e avviare i percorsi per i bisogni complessi, è funzionale anche alla razionalizzazione
dei processi e delle risorse”.

Il PUA, essenzialmente, mira ad orientare e garantire le persone e le famiglie sui diritti e le modalità di accesso, equo-universalistico, alle prestazioni sociali, socio-sanitarie, sanitarie e assistenziali, in particolare nell’area della fragilità e della disabilità, per una corretta tutela sanitaria e socio-assistenziale dei cittadini.

Il PUA è inteso anche come luogo fisico, ma, soprattutto, come una modalità di approccio ai problemi dell’utenza e
di interfaccia con la rete dei servizi, con una modalità di lavoro che si articola a due livelli: il front office e il back
office.

La funzione di Front office, a contatto diretto del cittadino, si declina nelle attività di accoglienza e ascolto, prevalutazione dei casi segnalati, anche da singoli cittadini, mediante l’apertura di un-fascicolo personale, e l’adozione di una scheda socio-sanitaria, preferibilmente telematica, unificata tra ASL e Comuni, in modo da creare la collaborazione collettiva alla presa in carico della fragilità, della cronicità e della complessità.

La funzione di Back Office, come lavoro d’equipe, si declina nelle attività di valutazione dei casi accolti o segnalati, mediante la raccolta di informazioni socio-ambientali, sanitarie e del livello di autosufficienza, e da altre
informazioni sociali in possesso degli operatori presenti nel PUA; nella realizzazione di interventi per la risoluzione
diretta di casi semplici; nell’attivazione della rete dei servizi, per i casi a valenza istituzionale multipla, e della valutazione multidimensionale con il coinvolgimento dei servizi specialistici sanitari del caso, per la conseguente presa in carico; nell’eventuale attivazione della mediazione culturale.

Il PUA provvede quindi:
a) ad organizzare interventi integrati per dare soluzione a condizioni personali e situazionali multi-problematiche
complesse, provvedendo a definire un Piano Assistenzialle Individualizzato (PAI);
b) ad individuare casi di non autosufficienza a favore dei quali disporre di un progetto personalizzato di intervento;
c) a convocare l’Unità di Valutazione Distrettuale (UVD) per la VM, dietro avvio da parte dei PUA (C), e per la
eventuale presa in carico;
d) all’inserimento nelle cure domiciliari e/o nelle cure domiciliari integrate;
e) all’inserimento in strutture sanitarie e socio-sanitarie accreditate a ciclo continuativo o diurno;
f) alle dimissione di utenti già assistiti in strutture socio-assistenziali e la loro accoglienza in strutture di carattere
socio-sanitario.

Esso si colloca territorialmente nel Distretto Sanitario e può essere attivato da singoli cittadini, dai MMG/PLS, da
stakeholders formali e informali, da utenti e familiari interessati, dai servizi sanitari dell’ASL, dai servizi sociali di
Comuni e Provincia, oltre che altresì, da reparti ospedalieri aziendali e da altre strutture socio-sanitarie, anche
mediante la stipula di specifici protocolli d’intesa tra Distretti e Presidi Ospedalieri.

I PUA saranno realmente accessibili?
L’importanza di queste strutture per le persone che vivono una disabilità è evidente. Ed è fondamentale che nella
riforma sanitaria dell’assistenza territoriale sia messa al centro il tema di una vera accessibilità di queste strutture,
tenendo a mente non solo l’accessibilità del sistema, ma anche dei luoghi, delle informazioni e delle possibilità di
usufruire di questo servizio per persone con diverse disabilità, fisiche e/o sensoriali.
Questo richiede una formazione specifica degli operatori socio-sanitari, così come un ragionamento costante sul tema dell’accessibilità universale, volta a favorire l’autonomia e l’autodeterminazione delle persone.
E senza una reale accessibilità universale delle comunicazioni (attraverso tecnologie e personale formato) e dei
luoghi (attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali), tali diritti, al di là delle parole, nella
pratica vengono negati.

Riferimenti bibliografici:
– DCA n.18 del 5 settembre 2008 “Approvazione della Programmazione per l’integrazione Sociosanitaria nella
Regione Lazio e delle Linee guida per la stesura del Piano Attuativo Locale triennale 2008-2010”;
– Sperimentazione regionale nell’ambito del Progetto del Ministero della Salute – CCM “individuazione e
implementazione di un sistema di accesso unico alla rete dei servizi sociali e sanitari della persona con disabilità”.
– Legge Regionale 11/2016 capo VII “ Disposizioni per integrazione socio-sanitaria” art. 51 Integrazione sociosanitaria
ed art.52 “Punto Unico di Accesso alle prestazioni sociali socio-sanitarie e sanitarie con continuità
assistenziale”.
– Deliberazione di Giunta Regionale n. 315 dell’8 luglio 2011 “ Il Punto Unico di Accesso socio-sanitario integrato
nella Regione Lazio – Linee di indirizzo”.