La prendo un po’ alla larga, partendo da un importante lavoro di Claude Levi-Strauss (filosofo e antropologo francese): “Le strutture elementari della parentela”.

Levi-Strauss analizzando i meccanismi che tengono coesa la società (senza distinguere tra quelle “tradizionali” e quelle “moderne”) si sofferma puntualmente sul meccanismo del matrimonio. L’antropologo, dopo aver svolto uno studio comparativo su diverse centinaia di popolazioni, individua una distinzione tra società che applicano sistemi matrimoniali elementari e società con sistemi matrimoniali complessi.

Le strutture elementari sono caratterizzate da regole matrimoniali positive, cioè esse indicano chi si debba sposare e la scelta, basata su criteri di parentela, sostanzialmente promuove il matrimonio tra “cugini” incrociati. Queste regole matrimoniali positive danno vita a reti di scambio matrimoniale che favoriscono lo sviluppo della solidarietà all’interno delle società interessate.

Le strutture complesse, invece, sono caratterizzate da regole matrimoniali negative, cioè esse indicano chi non si deve sposare (i parenti stretti, persone di un’altra classe sociale, etc.). La scelta dei coniugi è determinata da fattori esterni alla parentela, quali ricchezza, potere, status sociale e attributi personali. In tali sistemi l’integrazione sociale è assicurata da istituzioni politiche ed economiche che progressivamente prendono il posto della parentela.

Ora, la società occidentale rientra pienamente nel secondo caso, con l’ovvia conseguenza che la parentela (e quindi la famiglia) hanno minore peso nello sviluppo della coesione sociale. Se aggiungiamo che la famiglia, con lo sviluppo di un’economia industriale e post-industriale, ha anche perso il peso socio-economico, ricoperto fino ai primi anni ’60 all’interno della civiltà contadina (rimanendo all’ambito italiano), siamo portati a dover ormai riconoscere alla famiglia solo un ruolo educativo e di sostegno economico allo sviluppo delle nuove generazioni, che faticano, sempre più a inserirsi o a essere prese in carico dalla società civile.

Rispetto al ruolo educativo, dobbiamo anche annotare che nelle famiglie composte da persone con elevata istruzione e, ormai, in quelle composte da persone più giovani (sotto i 40 anni), entrambi i coniugi dedicano buona parte della loro esistenza al lavoro, venendo meno anche alla funzione educativa della famiglia, che rimane alimentata solamente dal contributo di nonne/i e bisnonne/i o “delegata” (?) alla scuola pubblica o privata.

Non apro altre porte, ma ritornando al tema iniziale, condivido il sentimento di Amedeo, che auspicherebbe un ruolo più centrale della famiglia, però temo che ciò non sarà possibile, se essa non tornerà a svolgere una funzione non puramente ideologica, ma anche “operativa” all’interno del tessuto sociale ed economico. Condivido peraltro le sue perplessità sul porre la persona al centro della società, visto che una simile scelta va esattamente nella direzione opposta a quella di provare a mantenere in vita o a rivitalizzare un modello di coesione sociale, basato su una struttura, ragionevolmente più significativa e anche più “forte” della persona singola.