La mattina, con i suo colori giallo ocra, filtrava già da molto tempo dalle persiane. Nella stanza c?era silenzio, e profumo di sonno e di chiuso: il letto rigonfio si muoveva debolmente, sbucava un mezzo braccio dal morbido cumulo del piumone.
Una meravigliosa domenica mattina, pensò Paolo De Bonis, avvocato romano avvolto nelle suddette piume d?oca. Un giorno sacro, il giorno della sua personale rinascita settimanale. Si stiracchiò ed accese l?impianto stereo, pigiando sul tasto dell?apposito telecomando che teneva sempre sul comodino.
Le note di un magnifico Chopin si srotolarono delicate nella stanza.
Paolo De Bonis si sentiva un uomo lieto.
Continuò per un poco a rotolarsi saporitamente tra piumone e cuscini. Nel dormiveglia lo sorprese lo spazio che aveva nel muoversi, e nel dormiveglia si rispose: ah, è vero, oggi niente signora De Bonis. La sua Signora stazionava attualmente in una ridente località montana dalle parti di Cortina, insieme ai genitori, suoi suoceri, per l?annuale settimana bianca. Quindi, nessun pericolo di terribili pranzi in famiglia, visto che i genitori di lui abitavano da anni a Milano.
Sempre più compiaciuto, assaporò ancora e ancora il gusto di spaziare in un lettone vuoto, e pieno di caldi cuscini.
Immaginò la sua domenica di riposo, e si sentì pieno di voglia di vivere.
Improvvisamente un ricordo ancestrale scaturito dallo stomaco gli colpì le narici: sentì, fortissima, la voglia del suo sacrosanto caffè mattutino, che aromatico e fragrante da anni dava l?avvio alle sue giornate.
Ah, il caffè?.sì, perché Paolo De Bonis era un uomo preciso. E aveva alcune indistruttibili abitudini: il caffè mattutino, appena aperti gli occhi, era una di queste.
Lo prendeva nero, senza zucchero, come solo gli estimatori sanno fare. A volte si concedeva, durante la giornata, dei caffè manipolati, colorati di bianco latte, o corretti con una goccia di sambuca.
Ma la mattina, no. La mattina era per quel denso (avevano la macchina per fare l?Espresso, tale e quale al bar ) liquido scuro il cui aroma lo riconciliava con il mondo. Non era solo una questione di caffeina, seppure la quotidiana dose di pura caffeina, aggiunta ad una buona dose di convincimento psicologico, lo aiutasse di certo nei suoi stressanti risvegli lavorativi. Ma non era solo quello, no. Il caffè mattutino, per l?avvocato Paolo De Bonis, era qualcosa di più. Era, insomma, un piacere irrinunciabile.
Pensandoci e ripensandoci, la voglia lo catturava sempre di più. Sapeva che essendo domenica e per di più mattina inoltrata (le undici, secondo il puntuale orologio appeso proprio di fronte a lui, sulla parete bianca) la solerte Giusi non era già più in casa, fuggita a raggiungere le amiche delle Filippine.
Ma la domenica, infatti, al caffè ci pensava la signora De Bonis. Glielo portava addirittura a letto.
Acuto, lo raggiunse il pensiero della moglie a Cortina, sdraiata a prendere il sole già dal giorno prima.
Si rigirò nel letto, un po? meno compiaciuto di pochi minuti prima.
Attese invano, per circa una decina di minuti, che il Cielo gli inviasse una soluzione sotto forma di un espresso Illy volante che dalla finestra (aihmé, chiusa) planasse dolcemente sul suo comodino. Niente da fare, sbuffò poggiando i piedi sullo scendiletto.
In pigiama, attraversò il corridoio e si diresse in cucina. Come sempre, la cucina era in perfetto ordine, un piccolo regno sfavillante di marmo e pentole disposte in bell?ordine e fornita di macchinari di ogni tipo, alcuni assolutamente astrusi (ma chi aveva mai fatto, in quella casa, una centrifuga di carote? Eppure la centrifuga c?era) altri più comprensibili, come il moderno frullatore milleusi e la famosa macchina per il caffè.
Non era veramente pratico di quell?aggeggio, ma ciononostante aveva imparato ad usarlo e a volte si faceva il caffè personalmente. Sogghignò pensando a quei poveri uomini trogloditi incapaci di mettere il naso in una cucina senza uscirne dopo un paio d?ore, con una mano ustionata, lasciandosi dietro ambigui profumi, e diretti con le lacrime agli occhi alla più vicina rosticceria.
Lui, la cucina la usava poco, ma era in grado di muoversi al suo interno con perfetta padronanza e precisa conoscenza del dove e del perché di ogni ingrediente e macchinario infernale.
Svitò quindi il tappo della caffettiera professionale, e si avvio con piglio deciso verso il barattolo del Caffè.
Il barattolo era rosso, con tappo bianco, e sopra c?era scritto C A F F E?. Ma era vuoto.
Alquanto insolito, pensò l?avvocato De Bonis senza perdere la calma. Si diresse quindi in dispensa, dove lo scatolame in eccesso veniva di solito stipato in attesa di utilizzo. Probabilmente il nuovo cartone di caffè non era stato ancora travasato nel barattolo. Ma anche lì, nessuna traccia utile.
Rimase per un po? a fissare la dispensa, poi iniziò a cercare dappertutto. Guardò nei cassetti, aprì gli armadi, rovistò tra angoli e interstizi. Guardò di nuovo in tutti i posti in cui aveva già guardato, e poi li perlustrò per la terza volta.
Iniziava ad alterarsi leggermente.
Lo colse, improvviso, il pensiero di un?altra possibile soluzione. Addirittura, Giusi, colta da improvviso furore domenicale, poteva avere dimenticato di portare su la spesa del giorno prima, abbandonandone la parte non deperibile in garage, dove appunto arrivava con la macchina che utilizzava per andare a fare la spesa.
Sbuffando, tornò in corridoio e si diresse in bagno. Si sciacquò la faccia e guardò la barba, leggermente incolta. Non aveva voglia di fare la doccia, non prima di aver preso il suo caffè. Con il caffè, avrebbe letto il giornale lasciato dalla solerte Giusi, avrebbe fatto ginnastica, come ogni domenica mattina, e poi si sarebbe attardato sotto la doccia. Si passò invece una mano tra i capelli e, senza neppure lavarsi i denti (il gusto del dentifricio gli avrebbe rovinato tutto), prese dalla sedia accanto al lavandino i vestiti del giorno prima, che infilò rapidamente.
Prese il telecomando del garage, si chiuse la porta di casa alle spalle, e si avventurò giù per le scale interne. Entrò, e constatò che ogni cosa era dove avrebbe dovuto essere.
La macchina della moglie, che anche Giusi usava per le faccende, era parcheggiata proprio davanti alla sua Mercedes. Le portiere non venivano mai chiuse, perché il garage era abbastanza sicuro. Inoltre, le chiavi venivano sempre lasciate inserite nel cruscotto, per permettere che le macchine venissero spostate secondo le esigenze. Infatti, le macchine erano lì, le chiavi erano lì, e il cruscotto pure. Ma di buste della spesa nemmeno l?ombra. Pigiò il pulsante del telecomando per l?apertura automatica della saracinesca, fece avanzare di un metro la macchina della moglie, che era parcheggiata davanti alla sua (un incastro fatto al centimetro, che non facilitava le ricerche); ne spalancò in un attimo tutte le portiere, cofano compreso: nulla.
Abitavano in una zona residenziale, alla fine di via della Camilluccia, e nei paraggi ben poche cose erano raggiungibili a piedi. In più, era domenica. Tuttavia, c?era un Bar non lontano, sempre aperto.
L?avvocato De Bonis si mise con decisione al volante della macchina della moglie. La saracinesca del garage si richiuse dietro di lui, ubbidiente, poco dopo il passaggio della macchina davanti alle fotocellule.
Il Bar in questione era un bugigattolo piuttosto repellente, ma vicino. Chissà perché in quella zona ben frequentata nessuno si decideva ad aprire Bar decenti o una profumata sala da té come si deve. Per prendere un caffè in un buon ambiente ti toccava scendere fino a Vigna Clara, niente affatto dietro l?angolo, pensò mentre guidava. Parcheggiò la macchina davanti al bar. Non fece in tempo ad afferrare la maniglia della portiera, però, che lo colse impreparato una saracinesca abbassata ed un foglio di carta bianca. Guardò meglio ?CHIUSO PER LUTTO?. La data era quella di tre giorni prima. E sì che passava circa quattro volte al giorno davanti a quel bar, ma nemmeno ieri si era accorto di nulla.
Il pensiero tornò deciso al suo caffè: a quel punto non rimaneva che arrivare a Vigna Clara. Il bar Euclide forse era aperto. Speriamo.
Intanto si sentiva un buco nello stomaco, e la barba che pizzicava sulle guance. Ma la voglia di caffè era intatta. Arrivò davanti al famoso bar Euclide, constatandone la chiusura. ?CHIUSO PER RISTRUTTURAZIONE? diceva il cartello.
Ormai decisamente incazzato, l?avvocato De Bonis sfilò lentamente con la macchina davanti ai maledetti bar chiusi per risposo domenicale, e passò con l?andatura di un pedone di fronte a negozi di alimentari altrettanto chiusi. Infine, illuminato, giunse con la macchina fino a Piazzale Clodio, e parcheggiò davanti al Drugstore, una sorta di supermarket aperto 24 ore su 24. Entrò, percorse con gli occhi gli scaffali, agguantò una luccicante scatola di Caffè Lavazza Oro (non era il suo favorito, ma date le circostanze poteva andare) e si piantò davanti alla cassa.
Fu a quel punto che si accorse di non avere con sé il portafoglio.
Girellò per un bel po? cercando una soluzione, si morse le unghie, guardò truce la commessa, che lo fissò incuriosita mentre, dopo una buona ventina di minuti, tornava rapidamente allo scaffale, riponeva la scatola e, come un automa, si dirigeva alla porta.
Doveva tornare a casa a prendere il maledetto portafogli. Sognava intanto un tavolino sulla riva del mare, una leggera brezzolina e una bella fanciulla che gli porgeva sorridente una tazza di fumante caffè accompagnato da alcuni biscotti, pronta poi a porgergli una Camel Light, quale si concedeva dopo alcuni momenti di particolare stress.
Lo sguardo finì su un orologio stradale: quasi l?una e mezza! Come aveva potuto metterci tanto? Erano le due passate e si avvicinava il momento della rilassante partita a carte con gli amici, immancabile la domenica. Di solito si riunivano verso le quattro, al Circolo. Non aveva con sé il cellulare, ma sapeva che l?appuntamento era quello.
Arrivò finalmente a casa, scese dalla macchina e fece per aprire il garage.
Guardò fissa la saracinesca. La guardò fissa mentre si apriva.
La fissò e la fissò. Intanto, sotto forma di un mazzo di chiavi di casa, luccicante, in un bel piattino d?argento regalo dei suoceri, proprio all?ingresso, vide la sua rovina..
Provò ripetutamente a bussare a casa del portiere, senza risultato: la domenica non c?era quasi mai. L?unico doppione delle chiavi di casa lo avevano i suoceri, oltre naturalmente a sua moglie. Tutti in montagna.
Pensò a bussare ad un vicino per chiedere di usare il telefono, e chiamare qualche amico, ma infine decise di desistere, un po? per l?imbarazzo (praticamente erano degli sconosciuti, si salutavano tutti di sfuggita) e un po? realizzando che senza il suo P.C. palmare e la rubrica del cellulare, ricordava a malapena il numero di casa sua.
Si guardò: aveva gli abiti sgualciti, la barba presumibilmente era ben visibile, e non si era neppure lavato i denti.
Sconsolato, l?avvocato Paolo De Bonis si sedette su di un gradino davanti al garage, ed essendo presumibilmente le due di pomeriggio, si apprestò ad attendere il ritorno della solerte Giusi, che di solito arrivava alle otto, lasciando passare così la sua favolosa domenica di riposo ed immaginando di prendere il sole su una sdraio a Cortina, mentre sua moglie in costume da sciatrice gli porgeva una tazza di caffè.