Alcuni giorni fa su la Repubblica è apparso un articolo ripreso da un qualificato giornale britannico nel quale si chiedeva, a 10 intellettuali, quale sarebbe stato, a loro parere, lo scontro del XXI secolo: ancora ?destra/sinistra? o altro? Nella pagina accanto il gioco veniva ripetuto con tre intellettuali italiani.
L?articolo mi ha, in un primo momento, molto incuriosito; dopo poche righe: banale! Chi parlava di ambiente, chi ancora di destra e sinistra, chi di non so che altro ( altro che troviamo tutti i giorni sulle pagine dei giornali).
Speravo di trovare indicazioni nuove. Mentre pensavo, leggevo e brontolavo mi è venuta in mente l?immagine di Zigmunt Bauman di alcuni anni fa: ?Modernità liquida? che ha dato il titolo anche ad un suo interessante lavoro.
La concezione che stiamo avendo della politica è liquida e il termine fotografa in modo particolarmente aderente la realtà in cui ci muoviamo: ciò che è liquido non ha e non può avere la stessa forma per lungo tempo, è soltanto il passaggio da un recipiente all’altro che ne ridetermina la forma. Quanto di Margherita e di DS c?è in questa affermazione! E forse è vera per tutte le forze politiche contemporanee.
Ma la liquidità vale anche per la società che appare priva di qualsiasi fondamento valoriale ?solido?, condiviso da tutti. L?accelerazione della liquefazione sociale, definita anche ?seconda modernità? – che supera quindi la post-modernità – ha la sua origine, credo, dall?orientamento impresso alla società dal ruolo egemonico che l?economia ha assunto nella prima modernità.
Ma ecco la crisi del capitalismo (su quella del comunismo ormai c?è poco da dire: i fatti gridano da soli il suo fallimento):
A) non è esportabile, né è stato esportato, perché faceva comodo lasciare tre quarti del mondo nello sfruttamento);
B) non ha portato democrazia nel mondo, anzi, in alcuni paesi addirittura in interi continenti, ha favorito la nascita di regimi dittatoriali crudelissimi e lo sfruttamento delle popolazioni;
C) non ha migliorato le condizioni di vita dell?umanità, aggravando il divario tra ricchi e poveri;
D) ha fatto del cambiamento e della mobilità la sua regola fino a modificare radicalmente identità, lingue, appartenenze.
Credo che si possa affermare, oggi, che lo sviluppo dell?economia esigeva l?eliminazione di qualsiasi realtà che rimandasse a qualcosa di ?stabile?, di ?solido?, di ?eterno? che sarebbe stata d?intralcio all?espansione del potere economico. Anche l?eliminazione della politica.
Cosa sta succedendo in questi anni e dove stiamo andando?
Credo che si stia vivendo una transizione epocale, simile a quella che ha accompagnato l?industrializzazione, verso un qualcosa che ancora non è né chiaro nè definito.
Siamo diventati una società liquida perché non esiste più nessuna forma a cui fare riferimento. Anche il bipolarismo, anzi le crescenti polarità, sono una dimostrazione della crisi di ogni modello: si creano tante piccole dimensioni opposte in antagonismo tra loro, simili nel bisogno di tutela della micro identità specifica, simili nella proposta, differenti nel nome.
La Chiesa lo ha capito già due pontificati fa ed ha cercato di fare diga (la metafora della liquidità funziona molto bene); però la diga non fa passare nessuna acqua e mette a rischio di inondazione/tracimazione/crollo le zone interessate. I DICO ne sono un segno: diga cattolica e clericale che blocca tutto, società che si esaspera e si spacca, perdita di senso etico e civico, intolleranza antievangelica da una parte, anticlericalismo dall?altra.
Il non riconoscere le esequie religiose a Welbi credo sia un secondo esempio di diga che blocca addirittura gli stessi valori cristiani pur di non far passare nulla.
In tutto questo, la vera grande assente è la politica; l?unica possibilità che abbiamo di gestire una transizione epocale senza uno sterminio per fame, per guerra (santa, civile o preventiva) o per inquinamento è che la politica ricominci a svolgere il suo ruolo di gestione della POLIS e che i politici, invece di navigare a vista, assumano sguardi lontani, che vuol dire fare l?interesse generale e non quello del proprio orticello.
Marco Veronesi