? Quali sono i fattori che possono favorire l?integrazione dei migranti nei paesi di accoglienza?
Un fattore importante sarebbe la possibilità di iniziare i processi di integrazione in qualche forma già nei paesi di origine: questo orientamento è ormai molto condiviso e in una certa misura anche già presente nel nostro ordinamento. Si tratta di organizzare delle iniziative di formazione nei paesi di origine, soprattutto quelli da cui sono più consistenti i flussi di immigrazione nel nostro paese e con cui abbiamo anche dei protocolli già definiti o in fase di definizione. Queste iniziative dovrebbero essere rivolte a coloro che hanno intenzione di emigrare nel nostro paese e dovrebbero avere tra i loro obiettivi l?orientamento rispetto alla struttura della società italiana e alle sue istituzioni, l?apprendimento dei primi elementi della lingua, fino ad arrivare a dei veri e propri corsi di qualificazione professionale fin dai paesi di origine. Alcuni esperimenti in questo senso si stanno realizzando, soprattutto in collaborazione con i paesi nordafricani, come la Tunisia e l?Egitto, e con alcuni paesi balcanici. Questi corsi di qualificazione professionale dovrebbero naturalmente tenere contro di quali qualifiche il nostro sistema produttivo e il nostro sistema sociale hanno maggiormente bisogno. Accompagnare l?immigrato dal suo paese di origine nel nostro paese rispondendo precocemente alle sue esigenze di orientamento, di conoscenza e di formazione professionale è senz?altro la strada migliore. Questo è uno dei fattori che favorisce l?integrazione. Il nostro ordinamento già in questo senso prevede una preferenza di inserimento nelle quote dei flussi a chi ha frequentato questi percorsi. Mi sembra che questo sia un asse che sarebbe fortemente irrobustito dalla proposta Amato-Ferrero di modifica della normativa sull?immigrazione, perché questo disegno di legge prevede che già nel paese di origine avvenga una sorta di incontro tra domanda ed offerta, nello spirito di una vera e propria integrazione nei servizi per l?impiego. Questa è la strada nuova da percorrere.
? Che ruolo gioca la formazione nell?ambito dell?integrazione degli immigrati?
L?Italia accoglie ed è destinata ad accogliere un numero molto ampio di cittadini immigrati, quindi un fattore fondamentale di prima accoglienza è innanzitutto metterli in grado di usare la lingua italiana. Bisognerebbe fare uno sforzo molto maggiore di quello fatto fino ad adesso in questo campo, uscire dalla episodicità degli interventi degli enti locali, delle associazioni di volontariato, degli stessi centri territoriali per l?istruzione degli adulti e prevedere invece un percorso più organico di apprendimento della lingua, dei protocolli più riconosciuti, più standardizzati. Questo non è semplice perché, a differenza di altri paesi come la Francia o la Germania, dove gli immigrati sono in genere uniformi per provenienza e origine linguistica, da noi sono presenti tutte le nazionalità e questo certamente porta a un impegno molto più complesso. Inoltre noi non abbiamo una tradizione di apprendimento dell?italiano come lingua seconda. Abbiamo difficoltà con gli adulti e abbiamo grandi difficoltà anche con i ragazzi, infatti il problema della lingua rimane critico anche nel caso dei ragazzi delle scuole e di conseguenza anche a livello delle seconde generazioni. La lingua è la conoscenza decisiva per qualsiasi integrazione: probabilmente noi non siamo pienamente consapevoli che in molti settori lavorativi, soprattutto nell?agricoltura o nell?edilizia, ci sono immigrati che incontrano grande difficoltà ad esprimersi e ad essere capiti e questo è un grande fattore di esclusione.
Vi è poi il problema della formazione professionale: le basi di partenza sono in genere molto diverse a seconda della provenienza. Abbiamo esperienze di cittadini immigrati dall?est europeo che spesso hanno ottime esperienze di formazione professionale, ma anche casi in cui manca una qualunque base. Quindi si tratta di fare dei veri e propri investimenti. C?è un ampio dibattito in Europa, che sta trovando spazio anche in Italia, in merito all?opportunità di avere un?immigrazione più mirata sotto il profilo professionale, con un percorso preferenziale per gli immigrati con livelli professionali molto elevati. Questo certamente va previsto perché ne abbiamo bisogno, ma non dobbiamo dimenticare che gli immigrati nel nostro paese per la maggior parte sono manodopera dequalificata e quindi occorre una grande impegno anche nella formazione professionale di chi è già qui. Dobbiamo tenere presente che senza una base di formazione professionale e senza ulteriori interventi di formazione professionale noi condanniamo questi cittadini immigrati alle mansioni che richiedono meno competenze e il lavoro immigrato rimane bloccato lì, senza che sia soggetto a mobilità professionale. Questo è negativo sotto una molteplicità di aspetti: è una perdita di risorse umane che sono invece fondamentali per lo sviluppo stesso del nostro paese, perché condannando lavoratori che hanno grandi potenzialità – e spesso i lavoratori immigrati le hanno – in una posizione chiusa, rigida, di lavori dequalificati significa privarsi di risorse che invece potrebbero essere valorizzate. C?è anche il caso di immigrati con alti livelli di istruzione che rimangono bloccati in questi lavori dequalificati. Questo rappresenta una perdita anche in termini meramente economici, che genera per giunta una grande frustrazione sul piano personale: questo certo non favorisce l?integrazione. Nel quadro di un?immigrazione come quella nel nostro paese, che sappiamo fortemente orientata alla stabilizzazione, un elemento problematico è rappresentato anche dal fatto che le seconde generazioni non saranno disposte ai sacrifici dei loro genitori, che hanno in qualche misura accettato di essere mortificati e condannati a lavori che non corrispondono alle potenzialità o addirittura ai livelli di qualifica già conseguiti. Le seconde generazioni, proprio in ragione del fatto che hanno frequentato le scuole italiane e si sono formate qui, raggiungendo spesso livelli molto buoni, sperimentano un forte sentimento di riscatto che può esplodere in forme problematiche. Nessuno si illuda, ci prepariamo a dei brutti momenti. Va anche osservato che la tendenza a stratificare etnicamente il mercato del lavoro, ghettizzando il lavoro dei cittadini immigrati nei settori più dequalificati, ha un effetto molto negativo sugli stessi italiani: così facendo infatti trasmettiamo ai giovani italiani il messaggio che certi lavori non sono più per loro e questo è disastroso per il mercato del lavoro in sé.
? In che modo la formazione professionale rappresenta una risorsa per la costruzione di un modello di integrazione?
La formazione gioca un ruolo rilevante nei processi di integrazione, sia nella fattispecie dell?istruzione scolastica che nella formazione professionale, che sono poi due realtà strettamente collegate. A fronte di un fenomeno rilevante quale quello della presenza massiccia di nuovi cittadini immigrati, in questi anni c?è stata una risposta molto generosa da parte delle singole scuole, da parte di singoli dirigenti, professori, insegnanti, maestri. È però mancata una politica organica in materia. Non si è vista con chiarezza una consapevolezza in termini di politiche scolastiche della rilevanza di questa nuova presenza (parliamo di quasi 500.000 studenti stranieri). La scuola presenta ancora qualche problema, pur essendo per le seconde generazioni la base fondamentale dell?integrazione: l?incontro di identità è la dimensione culturale alla base di ogni integrazione ed è il processo più complesso.
Resta il problema della conoscenza della lingua italiana, per cui ancora non abbiamo una politica organica. Un?altra carenza è la mancanza di una politica chiara e coerente in merito alla mediazione culturale: occorre il riconoscimento di questa qualifica professionale, le scuole ne hanno bisogno soprattutto per i rapporti tra la scuola e la famiglia, come è peraltro espressamente previsto dal nostro ordinamento (già la Turco-Napolitano ne parlava). Inoltre nella scuola c?è forse un problema di carattere più generale, ovvero il mancato riconoscimento dell?importanza che la presenza di cittadini stranieri potrebbe avere per aprire la nostra scuola a una dimensione culturale nuova. Con la presenza di immigrati abbiamo una grande opportunità per misurarci sui problemi culturali che ci pone la globalizzazione. L?immigrazione è la dimensione umana della globalizzazione. Per i giovani italiani confrontarsi con i processi culturali di cui questi giovani immigrati sono portatori è una grande opportunità.
Un altro versante è quello della formazione professionale, che dovrebbe garantire un inserimento qualificato nel mercato del lavoro e la mobilità all?interno di esso. In questo senso, la formazione potrebbe essere un fattore potente di integrazione sociale.
? Quali sono, a suo avviso, i punti deboli del sistema attuale e in che modo dovrebbero essere affrontati?
Nel settore delle politiche attive del lavoro, dell?incontro tra la domanda e l?offerta, e dei servizi per l?impiego c?è bisogno di politiche mirate, e a mio avviso al momento se ne fanno poche, soprattutto sul terreno della formazione professionale. Per come si configura la realtà dell?immigrazione in Italia, occorrono certo alcune politiche mirate, ma la vera sostanza di una politica di accoglienza passa attraverso politiche organiche che riguardano sia i lavoratori immigrati che i lavoratori italiani, sia le famiglie italiane che le famiglie immigrate. Faccio un esempio, che forse è il più emblematico: si dice che esiste il problema della casa, e tutti sappiamo che questo è un problema serio anche per gli italiani, almeno per una fascia sempre più significativa che ha un?estrema difficoltà a pagare l?affitto. In questa realtà rientrano anche gli immigrati, gli stessi immigrati che magari in questi anni con enormi sacrifici, in virtù della disponibilità del credito, sono anche riusciti a acquistare la loro abitazione. Oggi queste persone si trovano nella stessa condizione di quegli italiani, e sono tantissimi, che non riescono a pagare il muto e devono restituire la casa. Il problema in questo caso non va affrontato con una politica mirata agli immigrati: è una vera emergenza sociale che riguarda una fascia consistente di cittadini, tra i quali ci sono i cittadini immigrati. La questione è piuttosto come affrontare il problema del diritto sociale.
Ho già menzionato il problema di insegnare la lingua italiana come lingua seconda ai figli degli immigrati: a questo si aggiunge il problema di come coinvolgere le famiglie degli immigrati nei processi formativi della scuola. Queste sono questioni specifiche, che sicuramente richiedono politiche mirate. Però il problema più decisivo per la società italiana è come complessivamente la scuola è capace di cogliere l?opportunità di questa presenza, perché la cultura di tutti i giovani italiani possa fare un salto di qualità. I problemi veri sono sempre problemi che riguardano cittadini italiani e cittadini stranieri insieme, noi e loro. I grandi temi ruotano intorno al modo di concepire la vita, la salute, il proprio corpo, il sesso, i rapporti tra persone: quando chiediamo una sanità che sia più efficiente, più efficace, più a misura d?uomo, più personalizzata, che tenga maggiormente conto delle diversità, questa è un?esigenza di tutti e non solo degli immigrati.
Se veniamo ai servizi attivi per il lavoro, l?orientamento, la formazione professionale, all?incontro domanda-offerta, alla mobilità professionale, anche qui abbiamo un problema generale. Provocatoriamente potrei chiedere: quanti sono gli italiani che hanno trovato lavoro attraverso i servizi per l?impiego? Nessuno o quasi, a mio parere. I servizi per l?impiego sono una riforma mancata, incontrano un?estrema difficoltà. Bisogna mettere mano alla riorganizzazione di questi servizi, che devono tener conto di politiche più decisamente mirate, che riguardino tutti i cittadini, immigrati e italiani, che sono più in difficoltà. È un problema molto delicato perché se non c?è una iniziativa di orientamento, di formazione professionale molto forte, gli immigrati corrono sempre il rischio di rimanere bloccati nei lavori più umili, di non accedere ai concorsi di mobilità professionale. Se questi servizi non funzionano, il lavoro continua a vivere nell?informalità e quindi a essere preda del lavoro nero, dello sfruttamento, della criminalità organizzata.