Quando le cellule sono malate prima o poi si ammala l’intero organismo. Quindi prima di curare l’ intero organismo impegnamoci a curare le cellule. Se le cellule si ammalano è perché virus e batteri le attaccano. Se consideriamo questa una metafora sociale potremmo dire: prima di curare la famiglia curiamo i suoi componenti, sia maschili che femminili, ma partendo dai problemi, che sono spesso comuni e senza distinzione di sesso e di ruoli. Per usare un termine caro a De Rita, concentriamoci sulle “molecole”. Può la struttura sociale denominata “famiglia” funzionare con un’occupazione in calo, un reddito procapite in calo, un trascinamento vertiginoso verso il baratro della soglia di povertà relativa anche per quelle fasce prima di medio reddito non a rischio? Con un’imposizione fiscale tra le più alte d’Europa a fronte della quale esistono politiche di welfare fragili ? senza una politica della casa, senza un’adeguata politica dei redditi? In Italia vivono 2 milioni e 657 mila famiglie in povertà relativa, che hanno cioè un reddito di poco sotto i 1000 euro mensili. 1.160.000 sono in povertà assoluta, incapaci di acquisire beni e servizi minimi. Oltre 2 milioni sono i giovani che né studiano né lavorano i cosiddetti Neet ( Not in Education Employmet or Training), che, ovviamente, vivono in famiglia. C’è da credere che la maggior parte di questi giovani Neet siano donne. La quota di donne inattive in Italia è quasi pari al numero di quelle attive: 9,8 milioni di inattive a fronte di 10 milioni di attive. Il tasso di occupazione femminile, di cui l’Italia detiene l’ultimo posto in Europa, si attesta di poco sopra il 46%. Forse proprio l’Europa potrà aiutare a smuovere questa situazione all’interno di almeno tre delle cinque linee guida della European Strategy 2020: incremento dell’occupazione, incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, incremento dei livelli di istruzione.
Il senso delle parole della Camusso è dunque uno solo: riequilibrare il ruolo delle donne nella società partendo dall’individuo (o meglio dalla persona, come sottolinea Alba Dini nel suo articolo Un insanabile conflitto tra ruoli?) è prioritario se si vuol intervenire anche sull’assetto socioeconomico della famiglia. E ci vorrebbe anche uno scatto culturale non facile di questi tempi impregnati di berlusconismo.
I numeri pubblicati in questi giorni da EUROSTAT parlano chiaro. Esemplificativo della condizione critica femminile – e di quanto ciò comporti tensione proprio all’interno della famiglia richiamata da Amedeo come soggetto prioritario di una politica di welfare – è il dato dell’occupazione femminile in rapporto al numero dei figli. L’indice di occupazione femminile è inversamente proporzionale al numero dei figli. Se l’indice è del 63,9 (75,8 media europea) con 0 figli, scende al 59 con 1 figlio, al 54 con 2 figli al 41,3 con 3 o più figli. Siamo tendenzialmente quart’ultimi in Europa, per fortuna che abbiamo alle nostre spalle Malta, Macedonia, e Turchia, che in questa caduta libera ci fanno da materasso. Quindi in molti casi la scelta è: o si fanno figli o si lavora.
Ma anche quando la donna è occupata ed ad alta professionalizzazione il suo reddito è mediamente inferiore di circa il 20 % rispetto all’equivalente lavoro professionalizzato maschile (€ 1.275 contro €1.562).
Questa tensione sociale che in Italia si concentra nell’universo femminile, che richiede alla donna di essere moglie/madre/lavoratrice/infermiera/psicologa/badante ecc ecc, -cioè riempire il vuoto di assenti politiche di welfare – è un buco nero che va sanato e non solo con provvedimenti a caduta sulla famiglia. Ma cos’è poi questa “famiglia” tanto evocata? A me sembra tanto un’entità metafisica, meta-politica e meta-sociale, direi anche meta-economica. Di quale famiglia parliamo? Della famiglia tipo mulino bianco: padre, madre, due figli, preferibilmente uno maschio e uno femmina, di accento vagamente nordico, seduti sorridenti a tavola a fare colazione incuranti dell’orologio? Esistono un’infinità di “forme” famiglia: monoindividuali, monoparentali, non solo per scelta esistenziale, ma spesso per morte di uno dei congiunti, per divorzio, per lavoro ecc, esistono famiglie allargate e ristrette per cause diverse (crisi economica, perdita di posti di lavoro, impossibilità di trovare un’occupazione, mancanza di affitti a prezzi ragionevoli, ecc), esistono famiglie al Nord, al Centro, al Sud ognuna che si scontra con problematiche territoriali e sociali diverse e via via più complesse più scendiamo nel profondo Sud e più ci spingiamo al’interno, più lasciamo le grandi metropoli e ci inoltriamo nell’hinterland, nei piccoli centri di provincia. Quindi attenzione, Amedeo, a mitizzare un qualcosa che non esiste come entità omogenea, pensare una politica per le famiglie senza risolvere i problemi strutturali delle persone, che le compongono e in particolare di quelle più esposte, cioè le donne. Ci vorrebbe una politica per ogni tipo di famiglia. Ci vorrebbe una politica intanto. O un provvedimento ad personam: tipo la famiglia-breve.
Alla domanda se partire dalle famiglie o dalle persone che la compongono o dalle donne, io partirei dai problemi, che sono sempre gli stessi e comuni sia per le famiglie, che per le donne, che per gli uomini.