Il povero alla tavola del ricco è sempre stato considerato un peso, una vergogna, una presenza imbarazzante da allontanare. L?argomento è di grade attualità anche per i tempi di crisi economica che viviamo. Quello che possiamo fare per ridurre la povertà degli altri e quella dei nostri cuori.

Il Vangelo ci invita ad avere il coraggio di affermare che ?non si vive di solo pane?. Non dice che dobbiamo rinunciare al pane, però. Purtroppo le carestie, le guerre, gli sprechi, l?egoismo di chi ritiene la Terra una proprietà privata, producono fame e morte ogni anno per milioni di persone, soprattutto bambini.
E il pane può diventare un lusso anche per tante persone nelle nostre città dell?Occidente ricco e opulento: i senzatetto, gli anziani abbandonati, gli emigrati disorientati… sono agli angoli delle nostre strade, davanti alle entrare della parrocchie, fuori dalle porte dei supermercati e mendicano per sopravvivere. Chiedono un obolo. Alcuni sono costretti a rovistare nei bidoni della spazzatura: quei bidoni o cassonetti che dovrebbero essere per tutti noi un invito alla raccolta differenziata per facilitare un normale e non rischioso smaltimento dei rifiuti, diventano per altri esseri umani l?ultima speranza per un tozzo di pane secco o un resto di bevanda. Le briciole che il povero Lazzaro del Vangelo implorava ai piedi della tavola dei ricchi epuloni.
Si è parlato di questi moderni lazzari nei mesi scorsi ma non per creare nuove mense e case di accoglienza o per moltiplicare la distribuzione di generi alimentari, di coperte e di bevande calde. Se n?è discusso perché alcuni sindaci e amministratori hanno pensato di vietare la richiesta di elemosina, per una questione di decoro, e il frugare nei cassonetti, per ragioni di salute pubblica.
Il povero alla tavola del ricco è sempre stato considerato un peso, una vergogna, una presenza imbarazzante da allontanare. Non possiamo negarlo. Né possiamo addossare sempre le colpa sulle spalle degli altri. Un sacerdote non può invitare i suoi fedeli ad aprire le porte di casa a chi ha fame, se poi la sua parrocchia sbarra quelle stesse porte e se, non sia mai, durante una funzione un senzatetto entra nella chiesa e si mette a chiedere aiuto, un gruppo di vigili sacrestani s?incarica di trascinarlo fuori con la forza.

Ma non c?è solo una povertà delle tasche vuote e delle mani protese. C?è anche la povertà del cuore, l?aridità dei sentimenti, il silenzio assordante dell?egoismo, che ci lasciano altrettanto soli e deprivati, nonostante le apparenze. Quando chi ci sta intorno non è un vero amico perché noi per primi non sappiamo cosa sia l?amicizia. Quando il successo, il potere, il denaro sono gli unici moventi che danno significato alla nostra esistenza. Ed è sufficiente un attimo per accorgerci che tutto è finto, che tutto può sparire; che il successo è così effimero e il denaro può svalutarsi drasticamente in un batter d?ali di farfalla.
Sono due povertà differenti, ma simmetriche, perché l?una alimenta l?altra. Spezzano l?equilibrio di un mondo che vorremmo equo, giusto, solidale, impegnato, capace di considerare tutti gli esseri umani parte di un?unica comunità. Creano ingiustizia sociale crescente, perché dove vige la legge del più forte, oggi dobbiamo dire del più ricco, allora chi ha molto avrà sempre di più e chi non ha avrà sempre di meno.
C?è una frase nel Vangelo che dice qualcosa del genere, ma il senso è ben diverso. La pronuncia Gesù al termine della parabole dei talenti, quando un padrone affida ai suoi servitori i propri beni, in diverse proporzioni, e poi parte fidando che quelli sappiano far fruttare i denari. Alcuni ne sono capaci, e sono infine ricompensati; uno di loro, no. È frenato dalla paura, dalla mancanza di fiducia e di stima nel suo signore. Ha ricevuto un dono ma lo tiene avvolto nel fazzoletto, non lo sfrutta, vive la sua esistenza amorfa, piatta, vuota; ha perso l?occasione, è un fallito.
Viene spontaneo chiedersi quali talenti siano stati affidati alle mani dei potenti del mondo, di coloro che ci governano alla luce del sole e di quanti ci comandano da dietro le quinte, le potenze economiche capaci di portare al potere questo o quel personaggio, i signori della grande finanza, i venditori legali e illegali di armi, i capi delle organizzazioni criminali.
Ma poi penso che dobbiamo sempre guardare prima in noi stessi. E rifletto spesso sui talenti che il Padre ha voluto donarmi: e mi chiedo se sono stato capace di farli fruttare, di metterli al servizio degli altri, di spendere questa moneta perché si trasformasse in solidarietà, amore, affetto, altruismo, preoccupazione perché la vita di tanti amici incontrati nelle strade del mondo fosse meno povera.

Viviamo un periodo di particolare crisi, come del resto non era difficile prevedere: troppo ottimismo, troppa opulenza nel Paesi ricchi, troppi sprechi e distruzioni ambientali, troppi giochi finanziari che hanno fatto perdere di vista l?economia reale. Crolla una costruzione sull?altra, l?effetto domino si propaga nel mondo, siamo tutti un po? più poveri e quelli che già non hanno di che mangiare e bere sono sempre più ai margini, perché anche le elemosine si fanno meno generose e gli aiuti umanitari meno assidui e meno certi di giungere a destinazione.
Esiste una ricetta per migliorare questa situazione? È bello ascoltare il nuovo presidente degli Stati Uniti d?America annunciare i punti saldi del suo impegno: eliminare le armi nucleari dal pianeta; moltiplicare gli aiuti per dimezzare la povertà estrema entro pochi anni; accelerare la lotta all?Aids/Hiv, tubercolosi e malaria; aprire i negoziati con Paesi considerati fin qui nemici per conseguire la pacifica risoluzione delle tensioni; fermare le stragi in atto in Africa; depoliticizzare i servizi segreti in modo che non si ripetano mai più manipolazioni come quelle che hanno provocato guerre sulla base di false notizie; accettare solo nuovi accordi commerciali che contengano protezioni dell?ambiente e dei lavoratori; sostenere in modo vigoroso le energie rinnovabili.
È incoraggiante ascoltare dal Ministro dell?Economia italiano che è finito il tempo delle speculazioni e del denaro che produce solo denaro, e che occorre invece un nuovo modo di governare i processi economici fondato sull?etica e sui valori umani.
Non dovremmo chiederci se sono soltanto slogan o annunci di miracoli impossibili. Dovremmo invece domandarci: in quale misura, per minima che sia, ottenere questi alti traguardi dipende anche da ciascuno di noi? Non indugiamo ancora una volta nell?attesa che qualcuno faccia qualcosa per noi ma, parafrasando un celebre slogan di John Fitzgerald Kennedy, cerchiamo di capire quello che noi possiamo fare per il nostro Paese e per il mondo.

Non saremo noi da soli a rendere più giusto e rappacificato il mondo e a trasformare milioni di poveri in persone dalla vita decorosa. Non da soli. Ma possiamo appoggiare in tanti modi coloro che hanno a cuore la sorte dei più fragili, dei disperati, degli affamati e non solo il proprio tornaconto e quello dei propri amici. Possiamo unirci, associarci, organizzare iniziative, specialmente se siamo giovani o capaci di ascoltare e anche imitare i giovani con il loro entusiasmo e la loro voglia di fare che gli adulti hanno sovente smarrito per strada.
Possiamo, attraverso organizzazioni religiose o laiche, stabilire un canale con le comunità che soffrono nei Paesi poveri e farlo in prima persona oppure aiutando altri ad essere protagonisti diretti, a sporcarsi le mani con generosità e coraggio. Con il sostegno morale e con quello economico, con l?educazione se siamo educatori.
Possiamo documentarci e comprendere perché mancano acqua e farmaci là dove potrebbero e dovrebbero essere a portata di mano di tutti. Perché tanti bambini sono violentati o trasformati in soldati armati o costretti a lavori massacranti. E trarne le conseguenze, perché non è poi così difficile conoscere per esempio le multinazionali che s?impadroniscono della vita, dei territori, delle specie vegetali, delle sorgenti d?acqua di milioni di poveri.
Possiamo guardarci attorno e anche semplicemente portare un pezzo di pane o un paio di scarpe seminuove allo straniero che ci attende all?angolo della strada. Possiamo stimolare nella nostra parrocchia, nella scuola, perfino sul posto di lavoro uno spirito di accoglienza e una serenità capace di trasmettere fiducia nella vita a chi la sta perdendo.
Tutti vogliamo la pace, nel mondo e nei nostri cuori. Ma la pace del cuore non nasce dal quieto vivere, dal sopportare tutto come inevitabile senza reagire, dallo sbiadire ogni sentimento, dal chiudere gli occhi e ritirarci in noi stessi; di qui vengono la solitudine, la tristezza, la depressione.
La pace del cuore nasce invece da una ribellione interiore, dalla ricerca costante del bene e del vero, dall?opporsi alle piccole e grandi ingiustizie, dal provare sentimenti forti, dal saper dire ?no? in nomi di ideali alti, nel segno di una rivoluzione nonviolenta ma quotidiana che cambi davvero noi stessi e chi ci è intorno.

(da Il Delfino, www.ceis.it)