Il vecchio bulldog francese girava cercando una sistemazione comoda. Arrivò fino a loro, il muso bianco pieno di pieghe e gli occhi neri, enormi. Li guardò e poi, spontaneo, si allungò per salire sul divano su cui erano seduti. Zampettando da tutti lati gli si accoccolò vicino, col braccio di lei disteso a toccargli la schiena macchiata di nero, e si stiracchiò per lungo, fino a toccare la coscia di lui.
La stanza era piena di polvere, una polvere sottile che rendeva più opaco tutto l?ambiente. Erano seduti sui vecchi divani blu, davanti ad una solita tazza di tè.
Pensavano certo qualcosa, ma il vecchio cane non lo sapeva, e se lo avesse saputo non gli sarebbe importato. Li vedeva lì, ogni giorno.
Lui arrivava, andava nella sua stanza, suonava un po? la pianola, poi andava in cucina e metteva su l?acqua per il tè.
Quando lei c?era, si salutavano, lei chiedeva una tazza di tè, e si sedevano insieme sul divano.
Dalla sua cuccia li guardava, sapendo che in quelle tazze non c?era nulla di interessante da mangiare. Ma forse gli avrebbero fatto qualche carezza, e allora si avvicinava e si accoccolava lì, spesso nel mezzo, aspettando le mani che gli stropicciavano la schiena. Poi si rotolava fino mostrare la pancia, e aspettava a zampe all?aria che le mani di tutti e due si affollassero sul suo stomaco rosa, grattandolo fino a provocargli quel pizzicorino tanto piacevole.
Ci sarebbe stato per delle ore, a farsi grattare così. Purtroppo, di solito, dopo una ventina di minuti loro smettevano di parlare fitto fitto. Alzava allora lo sguardo, spesso ancora a zampe all?aria, e seccato per questa momentanea disattenzione. Poi riprendevano a parlare, mentre dal basso li spiava, e li vedeva smettere di guardarsi, poi incrociava lo sguardo di uno di loro, poi li vedeva fissarsi ancora.
Se poi lui si alzava ad andava al pianoforte, allora lei rimaneva sul divano, prendeva un giornale, e lo sfogliava distrattamente. Poi si metteva a leggere sul serio, e la sua mano ricominciava a scorrergli voluttuosa sulla schiena, inciampando nelle pieghe pelose.
Solo dopo molto tempo, e mentre le note rotolavano per tutta la stanza, lei smetteva di accarezzarlo. Allora scendeva giù dal divano e cominciava ad abbaiare accanto alla porta della cucina: era il modo migliore per avere un paio di quei biscotti croccanti chiusi nella credenza gialla.
Quel giorno lui arrivò, e non si mise al pianoforte.
Gli grattò un po? la schiena quando gli si fece incontro, proprio sulla porta. Aveva l?aria impaziente, e nemmeno abbaiando riuscì ad attirare la sua attenzione. Lei non c?era, ma arrivò poco dopo. Aprì la porta a fatica perché le chiavi non funzionavano bene. Entrò e si guardò subito attorno.
Scodinzolò e le si avvicinò, così ebbe qualche attenzione, qualche carezza. Poi si diresse ballonzolando verso il salone, come un apripista.
Arrivò sul divano e attese che arrivasse qualcuno. Ma non lo avevano seguito.
Aspettò ancora un po? e abbaiò. Tornò indietro e li vide fermi, in silenzio, uno davanti all?altro.
Avevano l?aria di non vederlo nemmeno.
Lui disse qualcosa. Lei aveva il viso color porpora e abbassava gli occhi, ma sembrava felice come quando, abbaiando, vedevi aprirsi la credenza piena di biscotti.
Provò a scodinzolargli attorno, disegnando un otto tra le loro gambe. Ma si avvicinarono di più e il suo percorso divenne un cerchio, mentre li vedeva inspiegabilmente vicini, e li sentiva ridere, poi smettere di ridere ed abbracciarsi stretti, senza nemmeno sedersi sul divano.