Quelli che il lavoro ce l’hanno a tempo indeterminato e non lo vogliono perdere.
Quelli che il lavoro non ce l’hanno e che lo vorrebbero anche senza articolo 18.
Quelli che sono i datori di lavoro di se stessi e dell’articolo 18 non gliene frega niente.
Quelli che il lavoro lo cercano senza trovarlo e sperano che togliendo l’articolo 18 le speranze aumentino.
Quelli che lavorano in nero e vorrebbero un lavoro vero con o senza l’articolo 18.
Quelli che difendono sempre lo status quo. A prescindere.
Quelli che non amano mai lo status quo. A prescindere.
Quelli che devono difendere il fatto che “difendono” e che ben-altri-sono-i-problemi.
Quelli che devono comunque cambiareverso e che ben-altri-sono-i-problemi.
Quelli che vorrebbero solo che i propri figli lavorassero con qualunque articolo.
Ovviamente una soluzione che metta d’accordo tutti non esiste e ovviamente una soluzione giusta in assoluto non esiste.
Che intervenendo sull’articolo 18 si crei nuovo lavoro non ci crede nessuno, e sacrificare mesi a discutere se questo è un buon motivo per non toccarlo o se toccarlo è un gesto significativo di modernità è evidentemente un modo per nascondere che non si ha alcuna idea di come creare nuovo lavoro.
Che fatica. Che noia. Che tristezza. Questa non è la politica che analizza i problemi e propone soluzioni, questa è la politica che celebra se stessa a beneficio dei giornali e dei talkshow.
Per fortuna c’è ancora un tessuto sociale che reagisce, soggetti che si organizzano per dare risposte alle domande di formazione e di orientamento e -soprattutto- ragazzi che il lavoro se lo cercano e al lavoro si preparano invece di aspettare che qualcuno glielo porti a casa.
La scorsa settimana un centro di formazione ha aperto le iscrizioni per quattro corsi base per “imparare un mestiere”: in 9 minuti sono arrivate 529 domande!
La voglia di lavorare c’è, utilizziamo tempo e denaro per dare risposte efficaci, il resto è un lusso che non possiamo più permetterci.