Tutti condividiamo affermazioni come:
– vogliamo fare politica per costruire una società diversa…
– vogliamo essere un partito radicato sul territorio…
– vogliamo dare voce a chi non ha voce…
Chi non sarebbe d’accordo ?

Forse, però, quando le espressioni sono troppo condivisibili, dovrebbe venirci il dubbio che non significhino più molto, o almeno che abbiano bisogno di essere “aperte” e “riempite” di contenuti più precisi, più descrivibili, più riconducibili ad una scelta identificata fra diverse possibili.

Questo è il lavoro che vorremmo fare insieme dedicando un paio di giorni ad approfondire le parole per evitare il contagio dell’ovvietà che uccide il senso.

UNA SOCIETA’ DIVERSA. CIOE’ ?
“Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi.” (Paolo VI, Populorum Progressio n. 6. 26/03/1967)

A quale modello di società pensiamo quando diciamo diversa ?
A quale umanesimo intendiamo riferirci ?
Quali sono le situazioni che più “offendono la loro dignità di uomini” ?

UN PARTITO RADICATO SUL TERRITORIO. CIOE’ ?

”Il radicamento sul territorio non dipende dal numero dei circoli o delle sezioni. Dipende dalla condivisione della vita dei dirigenti con quella del popolo che li segue. Se quella condivisione non c’è e al suo posto c’è separatezza, il contenitore è una scatola vuota e il gruppo dirigente galleggia appunto nel vuoto. Non è questione di età, di giovani o vecchi, di donne o di uomini, di settentrionali o di meridionali, di colti o meno colti. È questione di creare una comunità e viverla come tale” (Eugenio Scalfari, Repubblica, 18/04/2010)

Che significa “condividere la vita con quella del popolo” ?

Come si fa a suscitare “una comunità e viverla come tale” ?

Quali nomi dare alle radici che dovrebbero attecchire sul territorio?

DARE VOCE A CHI NON HA VOCE. CIOE’ ?

“Le civiltà nascono, crescono e muoiono. Ma come le ondate dell’alta marea penetrano ciascuna un po’ più a fondo nell’arenile, così l’umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto, per noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere” (Paolo VI, Populorum Progressio n. 17. 26/03/1967)

Come evitare che il nostro agire politico sia significativo solo nei tempi brevi?
A chi vogliamo “dare voce” ?
Come pensiamo di conoscerne le esigenze ?