Ad alcuni le piazze portano disagio, smarrimento, ansia, perdita di sé, in gergo si chiama agorafobia, cioè paura degli spazi aperti. E’ la prima volta che sento invece che la piazza evoca costrizione, cioè claustrofobia. L’ agorofobe-claustrofobe è l’amico Amedeo Piva, che con la sua ultima news sollecita la mia ginnastica mentale.

Partiamo dalla fine della sua ultima News: “mi brucia ancora la soddisfazione di coloro che, nel PD, hanno accolto le dimissioni della Binetti come una positiva liberazione.
In fin dei conti cosa chiedeva? Di svolgere il suo ruolo di parlamentare”
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Il tema è complesso, il crinale è ripido. Rimando a quanto già scritto in “Partito-mosaico o partito-scultura?” (archivio del nostro sito, 19 ottobre 2009) e “I limiti del dissenso” (archivio, 24 ottobre 2009). In sintesi la mia posizione era ed è: nella formulazione dei programmi occorre -ed è un valore aggiunto- l’opinione diversificata di tutti, anzi direi: più è diversificata più c’è democrazia nei partiti, più i programmi sono ricchi di spunti e inclusivi. Esistono infiniti luoghi deputati in democrazia e nella nostra società mediatico/tecnologica per far emergere i propri singoli convincimenti (sperando che ci siano interlocutori capaci di ascoltare). Elaborate le diversità (tesi-antitesi) in sintesi, cioè “programma politico”, tutti gli iscritti a quel partito sono tenuti a concorrere alla sua realizzazione e affermazione: un programma, una sola voce. Ricordiamoci l’esperienza da film horror dell’ultimo Governo Prodi: esempio concreto di dove porta il culto del sé, dell’affermazione delle “diversità”. Ogni sera dodici ministri a dire la propria opinione nei TG contro le azioni di governo di altri colleghi ministri o ministri in corteo a manifestare contro il governo, ecc ecc. Morale: potremmo essere ancora al governo, quando ci penso…!!!!

E’ chiaro dunque che l’ On. Binetti aveva tutto il diritto di esprimere la propria opinione sui temi etici. Resto convinto che su questi temi non esiste una verità assoluta. Esiste però una verità relativa, che è appunto frutto della “sintesi” delle posizioni diversificate espresse all’interno delle componenti del partito. E’ normale che una volta effettuata la sintesi si rifiuti di accettarla? Anche qui, trattandosi di questioni etiche, ammetto che è possibile: la propria coscienza è superiore alle volontà del partito. Però poi ci sono diverse modalità per affermare la propria diversità: una di queste per esempio è prendere la parola nelle sedi parlamentari preposte (Commissioni, Aula) ed esprimere il proprio convincimento, anche in dissenso col proprio partito. Poi però al momento del voto, se proprio non si vuole votare contro la propria coscienza, si esca dall’aula, non si voti contro il proprio partito! Se si vota contro il proprio partito e insieme allo schieramento avverso inevitabilmente si fa una scelta di campo e se ne traggano le conseguenze. Ognuno potrebbe essere autorizzato a far valere la propria diversità su ogni tematica di carattere economico, sociale, di politica estera, ambiente e via dicendo. Abbiamo ad esempio tutti biasimato Rossi e Turigliatto per le loro scelte “coerenti” di politica estera nel passato governo Prodi, non vedo perché per altri dovremmo usare una diversa misura.

Altro punto. Un partito deve necessariamente essere di parte. Altrimenti perde senso e funzione, dice Amedeo. “Parte”, “partito”, parole che hanno la stessa etimologia. Quindi occorre schierarsi. Ma per quale “parte”? Per quale programma, se poi il partito è uno e i programmi sono tanti quanto gli iscritti o i parlamentari? L’idea movimentista di un partito-corteo in progress mi sa tanto di postsessantottismo: aumento il passo e mi aggrego di qua (con Lotta Continua), decelero e ritorno di là (dove stanno i trotskyisti), corro e mi trovo in testa al corteo (con gli anarchici). Così saremo all’opposizione per altri vent’anni!
Dobbiamo invece tener bene presente le forze in campo, lo scontro in atto. Da una parte c’è una potenza economica e mediatica, che mostra i muscoli e dà sfoggio di incorruttibile unità e solidità, dall’altra tante idee “ognun per sé”, il mondo del lavoro e della scuola in crisi, un ceto medio in sofferenza. Da una parte c’è un uso scientifico e invasivo della comunicazione e dei media, dall’altro l’ improvvisazione e al massimo emulazione e penoso scopiazzamento taroccato dei modelli di comunicazione imposti dalla destra. Proprio considerando l’entità delle forze in campo è necessaria l’unità: unità e organicità di un programma, unità e camminino condiviso con gli alleati della stessa “parte”, unità nella comunicazione. Se tutto ciò viene letto come centralismo democratico, ben venga il centralismo democratico. Sempre e perché sia ab origine inclusivo, rispettoso delle diversità, mai espulsivo. Ma che poi anche le minoranze siano rispettose delle maggioranze! L’idea delle correnti ad esempio non mi scandalizza affatto, se intese come luoghi di elaborazione culturale di progetti politici fondamentalmente omogenei e concorrenti verso un obiettivo condiviso (in questo senso condivido la metafora del corteo).

Ultime osservazioni: l’espulsione dei dissidenti (non importa se perdiamo pezzi), autarchismo (consapevolezza di rappresentare l’intero centrosinistra) , di cui mi accusa Amedeo. Sul primo : quando dicevo sarà inevitabile perdere i pezzi, mi riferivo non a dissidenti interni, ma ad altre forze della possibile alleanza di centrosinistra ancora di stampo massimalista, che poca flessibilità potrebbero avere in un tavolo di alleanza con l’UDC. Perdere questi potenziali alleati di sinistra per un obiettivo generale di vittoria elettorale potrebbe essere senz’altro il male minore.
Per quanto riguarda l’autarchia: è autarchico chi vuole far conto solo su stesso e sulle proprie forze, rappresentare una rete di alleanze e il 47% dell’elettorato mi sembra l’opposto dell’autarchia, tanto più in una prospettiva di allargamento ulteriore dell’ alleanza al Centro con l’UDC.

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In questi giorni con Amedeo abbiamo molto discusso dell’intervento del card Bagnasco. Io, da non credente, dico la mia ed espongo i miei dubbi, Amedeo dirà la sua.

1 – Premetto:nessuno vuole imporre la censura quindi la CEI ha diritto a pronunciarsi.
2 – Ma pronunciandosi prima delle elezioni l’intervento della CEI, bisogna dirlo a chiare lettere, è un intervento politico. Che mette in imbarazzo solo e soprattutto il mondo cattolico più illuminato.
Ma ciò non deve scandalizzare perchè non è una novità, nel senso che la Chiesa ha sempre orientato la politica (dal periodo paleocristiano ad oggi) ed è parte integrante della cultura (anche politica) occidentale. Come sarebbe sopravissuta se no duemila anni? Fatta salva poi la facoltà della politica di rendersi autonoma. E degli elettori di ascoltare e trasformare in voto questi messaggi (cosa che peraltro i sondaggisti escludono). A tal fine non posso che apprezzare la lettera aperta a Emma Bonino scritta da Amedeo in questi giorni, esempio cristallino di come il mondo cattolico più illuminato e con senso civico e dello Stato dovrebbe rielaborare i pronunciamenti della Chiesa.
3 – Proprio però per questo “scendere in campo” ad orologeria, spiace vedere la Chiesa perdere un ruolo di “orientamento filosofico generale”, di “guida spirituale universale” per abbassarsi sempre più alla congiuntura politica particolare di elezioni, solo italiane peraltro non politiche nazionali, ma solo regionali e locali. Questo localismo, contrapposto all’universalità, mi sembra uno svilimento, quasi l’inevitabile consapevolezza della perdita di un ruolo-guida erga omnes .
4 – Non mi risulta ad esempio che simili appelli siano stati fatti in occasione delle recentissime elezioni regionali francesi. Perché?
5 – I temi trattati per giunta poco hanno a che fare con le competenze regionali, quindi a che pro ribadire certe posizioni sull’aborto, disciplinate da normative nazionali e non regionali?
6 – Certamente ai temi della bioetica erano affiancati altri temi di carattere sociale, lavoro, famiglia, immigrazione, l’onestà, “valori che non possono essere selezionati”. Sono tutti temi importantissimi, che però mi fanno dire: esiste un solo uomo politico italiano che li fa propri tutti insieme e sostanzia in totale coerenza il proprio agire politico su questi temi? Esiste un elettore che dopo il pronunciamento della CEI ha modificato il suo orientamento di voto, ma anche i suoi convincimenti interiori? Il che, a mio modo di vedere, non fa che evidenziare un “girare a vuoto” della Chiesa nella società contemporanea, dove non riesce più a incidere come una volta, né nella vita politica – molto più pronta a strumentalizzare secondo i propri interessi di parte gli orientamenti della Chiesa, che a farne oggetto di ispirazione di azioni concrete – né nel vivere quotidiano dei credenti. In una società in cui mancano i valori, manca il senso dell’etica, a me, non credente, questa marginalità dispiace. Ma certo queste uscite così caratterizzate politicamente – peraltro in un momento di crisi gravissima di reputazione per altri scandali – non favoriscono l’accrescimento o il ritorno ad un ruolo alto di guida, che ispiri una filosofia di nuove relazione sociali, di cui ci sarebbe veramente bisogno, almeno per confrontarsi.

Le domande che mi pongo in questi giorni per me di lutto e riflessione sono : esiste un’etica nella morte? Se non esiste perchè dovrebbe esistere nella vita? Cosa siamo in questo divenire cosmico? Sono temi centrali dell’ esserci sui quali da troppo tempo la Chiesa ha spento le luci. Invece di dirmi per chi devo o non devo votare…io, povero uomo del terzo millennio, mi trovo solo di fronte a questi misteri.