Controlli a tappeto,
ristoranti che chiudono, phone center che diventano negozi
di frutta e verdura. ‘Cresce il malumore fra gli
imprenditori stranieri’

– Phone center che si trasformano in negozi di frutta
e verdura e ristoranti etnici che perdono clienti e si
avviano lentamente verso il fallimento: è caro il prezzo
che alcuni imprenditori stranieri devono pagare alla
“stretta” in tema di sicurezza e alla eccessiva
“premura” che le forze dell’ordine riservano
alle loro attività commerciali. Storie poco conosciute ma
che incidono pesantemente sulla realtà di famiglie e intere
comunità straniere presenti nel nostro paese.
A parlarne, a
margine della presentazione del dossier “ImmigratImprenditori” curato da Fondazione
Ethnoland
e Dossier Statistico Immigrazione della Caritas,
è Romulo Sabio Salvador, imprenditore filippino gestore di
una società che si occupa di spedizioni in tutto il mondo.
Salvador, che è anche consigliere comunale aggiunto del
Comune di Roma, ha raccolto gli umori di numerosi suoi
colleghi imprenditori e rende conto delle decisioni –
drastiche – assunte da molti di loro: chiudere bottega e
cambiare attività.

“In un recente incontro con le comunità immigrate –
racconta Salvador – alcuni amici imprenditori peruviani che
gestiscono ristoranti tipici hanno manifestato
l’intenzione di chiudere le loro attività per il
continuo intervento della polizia”
. In questi
ristoranti, secondo il racconto degli stranieri, le forze
dell’ordine effettuano fra i clienti ai tavoli costanti
controlli sul possesso del permesso di soggiorno e della
documentazione che attesta una regolare presenza sul nostro
territorio nazionale.
La conseguenza è una sola: il calo
dei clienti e dunque dei ricavi.
A mancare all’appello non sono quei clienti consapevoli di non essere in regola
con la legislazione, ma anche – se non soprattutto – quelli
che un regolare permesso di soggiorno lo hanno, e con esso anche quel tenore di vita che consente loro di frequentare
regolarmente i ristoranti tipici gestiti da loro
connazionali.

“I clienti – spiega ancora Salvador – prima di
decidere di andare in ristorante ci pensano due volte, dal momento che preferiscono mangiare a casa piuttosto che
essere disturbati continuamente con un controllo del
permesso di soggiorno”
. Sempre più persone – riferisce
il consigliere aggiunto del comune di Roma – si lamentano in
questi termini: “Ho un regolare permesso di soggiorno e
sono tranquillamente seduto al ristorante per mangiare il mio piatto tipico preferito: perché mai – si chiedono – mi
devi fermare in continuazione per chiedermi i documenti?
Perché non posso passare una serata serena senza dover per
forza ritrovarmi come un sospetto delinquente o peggio un
fiancheggiatore del terrorismo?”
.

Non si tratta, peraltro, di una novità. Già in passato,
subito dopo il crollo delle Torri Gemelle, l’allarme
terrorismo ha portato ad una stretta ai regolamenti dei
phone center, gestiti a Roma prevalentemente dalla comunità bengalese, e in alcuni casi ad una vera e propria chiusura
delle attività. E’ vero che ancora oggi – e il rapporto
lo sottolinea – i bengalesi rimangono leader del settore, ma
le continue vicissitudini burocratiche (prima la direttiva
antiterrorismo del 2001, poi un regolamento con i requisiti
igienico sanitari accompagnato da numerose polemiche e dubbi
di legalità) hanno convinto molti imprenditori a chiudere e
a spostarsi su settori assai meno “sotto l’occhio
del ciclone”
. Ed ecco che al posto dei phone center
sono nati moltissimi negozi di frutta, verdura e spezie,
evidentemente avvertiti come molto meno pericolosi. “La
capacità di mutare rapidamente attività è del resto –
precisa Salvador – una delle caratteristiche più evidenti
dell’imprenditorialità straniera: si tratta di
individuare dove tira il vento, di essere duttili rispetto
alle possibilità di successo, allontanandosi quanto più
possibile dalle complicazioni”.

Per l’imprenditore filippino il malumore dei
ristoratori oggi, come dei gestori dei phone center negli
anni passati, è solamente la punta dell’iceberg di una
realtà che vede una serie di gesti che non fanno notizia ai
danni degli stranieri, come “il silicone che la mattina
troviamo nelle serrature delle nostre attività: atti che
mirano ad infastidirci”
ma che“non ci spaventano
affatto perché chi fra di noi fa l’imprenditore ha una
marcia in più per superare questi piccoli ostacoli
quotidiani”.