La recente vicenda europea del problema dei Rom getta – come direbbe un “buon” giornalista – un’ombra inquietante sul futuro dell’Europa, forse nostra estrema speranza.

Non è tanto la vicenda in sé a preoccupare, né la natura del problema, tutto sommato di portata pratica limitata e di priorità certamente assai bassa (del resto lo stesso Presidente francese ha parlato di smantellare i campi illegali e se sono illegali è difficile dargli torto); ma è invece la congerie delle reazioni alla posizione gesticolare di un leader (stavolta quello francese) carico di problemi forse più gravi di lui stesso.

Tralascio quelle attribuite dai giornali al nostro beneamato Presidente del Consiglio (dico attribuite perché spesso i nostri giornali gli attribuiscono delle grossolanità che non può aver detto!) del tipo: i commissari europei “farebbero bene a tacere” quando si profila una divergenza di opinioni con la politica dei singoli Stati (forse pensava anche alle famose quote latte!); oppure del tipo: è opportuno che “nelle politiche che richiedono azioni comuni europee gli organismi comunitari esercitino una paziente consultazione con i Paesi interessati, prima di adottare iniziative che possano sembrare improntate a critica o contestazione di comportamenti adottati dagli Stati membri nel rispetto delle leggi e dei regolamenti comunitari”. Forse ha, il Premier Italiano, anche un po’ di ragione, ma mi sorgono dubbi sull’Europa che abbiamo in testa.

Vengo invece, per alcune riflessioni che vorrei raccogliere da chi ne sa più di me, a quelle laterali prontamente espresse dal leader della Lega che, plaudendo, entusiasta, al gesto francese, dopo aver notato che la maggior parte dei furti li fanno i Rom (forse confortato da statistiche affidanti), ha osservato – secondo me con piena ragione – che se si chiedesse alla gente si avrebbe indubbia conferma di ciò.

Questa osservazione, ripeto, forse fondata nei fatti e sicuramente nell’opinione della gente, mi pone un interrogativo sul ruolo del leader in un regime democratico, quale, dicono, sia il nostro.

Provo ad articolare la domanda di conforto utilizzando due archetipi comportamentali tratti dalla Bibbia (so benissimo che allora la democrazia non c’era, ma ai fini di questo discorso non è rilevante): il leader, in un regime democratico, è il puro interprete della volontà del popolo (la famosa gente), una specie di portavoce che ha solo il compito di verificare che la volontà del popolo sia attuata, per quanto ripugnante possa apparire o apparirgli? Una specie di Pilato che, dopo aver detto Io non trovo in lui nessuna colpa (Giov., 18,38) si rimette alla volontà del popolo (la famosa gente) che invoca la salvezza di Barabba e la consegna del Cristo alla crocefissione?

Ovvero il leader, in un regime democratico, è colui che, come Mosè, posto di fronte alla dura cervice del suo popolo (Es., 32), si batte per contenere l’ira tremenda di Dio, anche rinfacciandogli la sua promessa, e scatena, invece, la sua propria ira per raddrizzare le perversioni della sua gente?

E’ una guida, insomma, il leader, come suggerisce la parola inglese, o un portavoce, una specie di megafono delle pulsioni più automatiche e assai spesso irriflessive del popolo?

Mi rendo conto che una risposta di tipo digitale è difficile ed imbarazzante (e i precedenti storici non aiutano); il nostro sentimento “democratico” ci porta inevitabilmente verso il modello Pilato, autentico leader democratico a tutti i costi. Una più attenta considerazione del concetto di delega (in quel caso ricevuta da Dio ma in fondo anche stabilita dalla bistrattata, nostra, povera Costituzione, art.67) ci porta verso il modello Mosè. Certamente se Mosè avesse fatto un sondaggio avrebbe prudentemente anche mitigato la sua propria ira; ma, per fortuna del popolo Israelita, non aveva a portata di mano né Mannheimer né Pagnoncelli e poté fare senza incertezze ciò che gli apparve esser il bene del popolo, nel quadro del suo mandato di condurlo nella terra promessa.

Fareed Zacharia, in un libro che ho più volte raccomandato alla lettura degli amici (The future of freedom, 2003) consegna alla riflessione l’esempio di Ulisse, l’eroe di Omero che, come tutti sappiamo, ascoltò il canto delle Sirene dopo essersi fatto legare saldamente all’albero della nave ed aver impartito ai suoi uomini (le cui orecchie aveva tappato con cera) il severo ordine di non slegarlo, nemmeno se lui stesso l’avesse ordinato, al sentire del canto delle Sirene. Ebbene, conclude la citazione, “i politici di oggi dovrebbero legarsi stabilmente all’albero della barca dello Stato quando passano per acque turbolente”.

Molti nostri leader, invece, ignorando il senso inglese della parola (anzi, per lo più, ignorando proprio l’inglese a vantaggio dei più facili dialetti) si legano alle onde che mutano e si abbandonano al canto delle Sirene, alle quali, anzi, troppo spesso ispirano loro stessi canzoni dal motivo orecchiabile, che resta in mente, che può tornare piacevole sentire ogni tanto, come una canzonetta di San Remo dalle parole banali ma facili da ricordare.

Nella vigilia delle prossime, eterne convulsioni politiche italiane, confesso di non vedere all’orizzonte alcun Mosè ma molti Pilati. Forse, però, in qualche Ulisse, legato saldamente al palo della barca dello Stato, è possibile sperare. Il suo problema sarà quello di versare molta cera nelle orecchie avide di canzonette di questi naviganti sballottati dalle onde in cui ci siamo collettivamente trasformati. In fondo Ulisse seppe spiegare ai suoi il pericolo insito nel canto delle Sirene:


“Scoltate adunque, acciocché, tristo o lieto,

non ci sorprenda ignari il nostro fato.

Sfuggire in pria delle Sirene il verde

prato e la voce dilettosa ingiunge.”


Andando al lavoro a piedi ogni giorno, mi capita talora di cogliere, nelle tante facce che incontro per strada, un’ansia di bene, un possibile approdo di verità, una stanchezza di interessati stereotipi collettivi, un silenzioso anelito di serietà….spero che la speranza non m’inganni e che altri sappiano prenderla per mano.


Roma, 20 settembre 2010, (provvidenziale) festa dei Ghibellini