Non si sarà di certo accesa una lampadina nella testa del nostro Sindaco quando ha deciso di affrontare in modo drastico – come piace a lui – le dolenti note dell’affaire Acea. In breve: valore delle azioni dell’ex municipalizzata nel 2008, all’inizio dell’era Alemanno, 12,4 euro. Valore attuale, poco più di 4 euro. Utile netto nel 2011 in caduta libera (meno 6,5% rispetto all’anno precedente). Stipendi dei supermanager, da nababbi (il più ricco di tutti sarebbe il direttore generale Paolo Gallo, che percepisce un’inezia: 842mila euro l’anno, con benefit vari come l’affitto di un appartamento ai Parioli e un macchinone a noleggio con conducente, http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/gli-stipendi-doro-di-acea-il-dg-gallo-supera-gli-800-mila-lanno-pi-38585.htm), un organico probabilmente sovradimensionato.
Non c’era luce però, è probabile anzi che aleggiasse il buio più pesto, quando il Sindaco ha ideato la malaugurata delibera 32, che prevede la creazione di una holding unica per tutte le controllate di Roma Capitale e stabilisce insieme la vendita del 21% delle azioni Acea di proprietà del Comune, finora in possesso del 51% del capitale della ex municipalizzata. Idea quanto meno discutibile, non fosse altro perché al momento il valore delle azioni è, come si è visto, un terzo di quello precedente alla “cura Alemanno”.
E la ragione di questo furor liberalizzante? L’assessore al Bilancio Lamanda è stato chiarissimo: “la vendita del 21% di Acea risponde a un obbligo previsto da una legge votata da tutti i partiti che sostengono Monti. Non ottemperarla sarebbe censurabile sotto più profili e comporterebbe un danno alla società e anche al suo azionista principale”. La legge in questione sarebbe la 138 del 2011, la cosiddetta “manovra bis”, che però impone solo, come ha ricordato il capogruppo Pd in Consiglio Umberto Marroni, al comma 3 dell’articolo 4, “la vendita delle società che hanno affidamenti in house”, nel caso di Acea, “solo l’illuminazione pubblica”. Basterebbe dunque mettere a gara l’illuminazione, senza bisogno di “svendere a prezzo di saldo” l’azienda.
I tanti nemici della delibera 32 d’altronde non ha mai creduto alla storia dell’obbligo di legge. Mentre sembra averla presa molto sul serio l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagiorne, primo azionista privato della ex municipalizzata (a quota 15,03% azioni), che in modo del tutto disinteressato ha speso parole a sostegno della vendita delle azioni Acea.
E lo stesso Alemanno, che al suo solito dice e si contraddice, fa e disfa al pari di una inquieta Penelope, ha provveduto ieri a diffondere una “B version” per giustificare la ragionevolezza della delibera monstre, affermando che “grazie alla vendita di una quota del 21 per cento dell’Acea, Roma non sforerà il Patto di Stabilità interno. Altrimenti dovremmo aumentare le tasse”. E l’obbligo di legge? Sparito.
Per fare finalmente un po’ di luce su un tema non semplice come quello delle liberalizzazioni delle public utilities, martedì scorso le associazioni Praxis e Libera Intesa, per la prima volta insieme nella sede di via del Collegio Romano, hanno proposto un dibattito dal titolo “Trasporto locale, igiene urbana, acqua pubblica. Quale futuro a Roma?”, con ospiti di riguardo come Paolo Leon, a capo dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma. Leon ha aperto il suo intervento affermando che “esiste una ideologia delle liberalizzazioni che bisogna sconfiggere”. Tipo quella che nel 1982 spinse la Banca Mondiale a imporre in Ruanda la privatizzazione non graduale delle principali attività economiche del paese, di fatto radicalizzando la spaccatura tra etnie Hutu e Tutsi e aprendo forse la strada al massacro del 1994.
Il vicecapogruppo del Pd in Campidoglio Fabrizio Panecaldo ha illustrato quindi l’iter travagliato della delibera 32 in aula Giulio Cesare. Sì, perché contro l’interpretazione scanzonata delle legge 138/2011 e le sue ricadute “romane” si è schierato un blocco bipartisan (La Destra, i “gabbiani”, Laboratorio Roma), che vede in particolare l’ opposizione combattere il provvedimento in Campidoglio a colpi di emendamenti (al momento sono 90.000, tali da paralizzare l’attività del consiglio per almeno 5-6 mesi).
La verità più dolorosa è che i mali di Acea – al pari delle altre ex municipalizzate – affondano in una gestione dissennata da parte del Comune, che ne ha gestito l’andamento con una trascuratezza che si fatica a immaginare involontaria. Perché, come ha affermato Leon “non so se ci sia una volontà esplicita o se non importi niente delle aziende pubbliche. Di fronte a un servizio pessimo o insufficiente si capisce che le liberalizzazioni possano essere gradite, perché la disattenzione è prodromo delle future liberalizzazioni”.
E così, mentre stiamo ancora subendo gli strascichi di Parentopoli, Atac distribuisce premi agli ex Nar, organizza corsi per gli autisti tenuti dal comico Giobbe Covatta e impedisce ai pensionati di acquistare mensilmente l’abbonamento del bus, costringendoli a versare in un’unica soluzione una cifra non indifferente (tra i 120 e i 150 euro), sia pure valida per un intero anno. Senza contare che da giugno si pagherà il semplice biglietto del bus un euro e cinquanta (+50% rispetto alla tariffa attuale): un aumento difficile da comprendere, dato che oggi il costo per Km del trasporto cittadino è pari a un terzo rispetto al 1993, quando il biglietto si poteva acquistare con appena 800 lire (circa 40 centesimi di oggi).
Aldo Amoretti ha commentato in chiusura di serata, con la solita sintetica chiarezza: “siamo caduti nelle liberalizzazioni perché non siamo stati in grado di affrontare le ruberie e le inefficienze del pubblico”. Ma sembra che – non solo a Roma – il vento stia finalmente cambiando e la prossima primavera non sia poi così lontana.