Fra le tante parentesi musicali, gastronomiche, artistiche, e stilistiche che si possono incontrare alla Festa dell’Unità, fra le 19 e le 21, di sabato 7 luglio scorso, si è aperta una parentesi per ripensare totalmente il sistema Welfare, a partire da Roma.

Amedeo Piva, Gianni Del Bufalo, Andrea De Dominicis, autore del libro “Welfare in movimento”, Luigi Vittorio Berliri, presidente di “Spes Contra Spem”, Fausto Giancaterina, Sibi Mani Kumaramangalam, Valerica Tarca, Esmeralda Tyli e Raffaele Scamardì hanno contribuito a mostrare cos’è il welfare oggi, a Roma, come sarà e come ci aspettiamo che sia.

Il dibattito, intitolato “Roma: Welfare impossibile?”, porta con sé alcune domande: chi pensa concretamente oggi a fare “Welfare”? Perché ricorriamo all’uso di una parola straniera per spiegare ciò che ci spetta di diritto, forse perché in realtà non lo abbiamo affatto o quanto meno lo tengono lontano da noi. E’ ancora in grado la politica di oggi, a qualche  kilometri di privilegi di distanza, di pensare al bene (che spesso non coincide col benessere), dei suoi cittadini? Possiamo azzardare ad augurarci che un giorno la politica sarà solo e totalmente “Welfare”, totalmente a servizio della collettività, che faccia chiarezza ed uguaglianza fra i cittadini, per cui non dovremmo fare differenze fra chi può e chi non può, fra chi è abile e disabile, fra chi è straniero e chi è nativo, fra chi è malato e chi è sano?

Amedeo Piva, ricordando come sia cambiato lo scenario sociale in una manciata di anni in Italia, e in particolare a Roma, a cominciare dai mezzi di comunicazione (dalla lettera, passando per il fax, e arrivando alle e-mail), allo stato delle famiglie, un tempo unite e numerose, ed oggi separate ed allargate, ai giovani, dalla fuga di cervelli alla fuga di responsabilità, nota che le risposte che Roma non hanno mostrato il minimo passo avanti verso le fasce più deboli.

E con Luigi Vittorio Berliri, si apriva la parentesi sui pesanti ed indiscriminati tagli sulle case famiglia che purtroppo sono costrette a chiudere. Questo infatti è quanto recita lo striscione che fa da sfondo al dibattito: “Allarme – chiudono le case famiglia per le persone con grave disabilità – I disabili costano – Riapriamo le case famiglia per le persone con grave disabilità a Roma”, ed io aggiungerei, i disabili contano. E’ la società totale, è l’insieme di pregiudizi e di indifferenza che rende gli abili in dis-abili, che restringe sempre di più il loro raggio d’azione; E’ la società il loro vero handicap, la loro vera malattia.

Sibi Mani Kumaramangalam, Valerica Tarca, Esmeralda Tyli, hanno fatto luce sulle tortuose pratiche burocratiche e lavorative che tengono sempre più separato lo straniero, l’immigrato dal cittadino italiano, sempre più segregato agli angoli della società. E se anche gli immigrati avessero figli disabili? E a loro chi ci pensa?

Amedeo Piva, Gianni Del Bufalo e Andrea De Dominicis credono l’unico strumento per dare concretezza e solidità al welfare sia la rete di azioni e re(l)azioni, un tessuto sociale compatto, orizzontale, trasversale, che sia permeabile dalla politica alle fasce più deboli. Non dobbiamo credere che il “welfare” arrivi dall’alto come una manna dal cielo, ma dobbiamo costruirlo dalla terra e con le nostre mani. Solo così avremo buoni e maturi frutti.