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A capodanno abbiamo ascoltato con attenzione i discorsi “ufficiali” delle persone istituzionalmente più importanti -Presidente della Repubblica, Papa, Presidente del Consiglio- ciascuna delle quali ha tracciato, come ritualmente previsto, un bilancio dell’anno appena concluso e tratteggiato qualche proposito per quello entrante. Ciascuno avrà avuto modo di apprezzare alcuni contenuti, valori, sottolineature o di detestare talune approssimazioni, reticenze e ovvietà risparmiabili.
Va da sé che malgrado la nostra sana voglia di “esserci” e criticare, insomma di dire la nostra, ci si senta sostanzialmente ininfluenti rispetto alle scelte di chi decide e ai mutamenti che queste producono, e -soprattutto- rispetto a quei mutamenti che invece vorremmo e che riteniamo potrebbero realizzarsi se avessimo la possibilità di modificare quelle decisioni. In pratica non ci manca la libertà di dire quello che vogliamo e di criticare quello che non ci piace, ma vorremmo che questa libertà possa essere utilizzata in modo “efficace”, possa effettivamente -in qualche misura- condizionare le decisioni che vengono prese per non ridurci esclusivamente allo sterile ruolo di pubblico pagante e criticante.
Il tema non è dunque la libertà, ma come la utilizziamo e -soprattutto- la sua efficacia. E su questo tema, vista la mia età, poteva non venirmi in mente la riflessione musicale (di oltre cinquant’anni fa!) di Giorgio Gaber?: «La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione, la libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione.» [QUI]
Trovo in questo breve e sintetico verso, due pregi: il primo è lo sforzo di definire ciò che libertà non è, sgombrando così il campo da possibili equivoci e deviazioni; il secondo è di rispondere alla conseguente domanda (e allora cos’è?) con una parola, -“partecipazione”- che definirei staminale, un concetto cioè suscettibile di assumere diverse forme e funzioni, adattandosi al contesto storico e sociale in cui si sviluppa. Più che un concetto è un orizzonte emotivo, un suggerimento sul modo di porci di fronte agli eventi sociali.
Non stiamo ovviamente parlando di una definizione filosofica o etica della libertà, ma solo di un suggerimento “posturale” per evitare che questo prezioso bene ci si isterilisca tra le mani. Tre sono i rischi da evitare: quello che la libertà esaurisca tutto il suo potenziale -e la responsabilità che ne deriva!- declinandosi solo nello spazio privato (l’albero), solo sul piano teorico (l’opinione) e solo nell’ambito logistico (lo spazio). L’alternativa proposta –partecipare– è dunque l’esatto contrario di restare appollaiati sul proprio albero, ostaggi del proprio privato mentale e fisico. E’ certamente importante informarsi, osservare con attenzione, riflettere con onestà, preoccuparsi per la situazione…, ma non basta se poi non troviamo il modo di scendere dall’albero, di condividere con altri la voglia fattiva di esserci e di incidere il più possibile sul cambiamento di quello che vorremmo fosse diverso.
Bisogna allora trovare i modi giusti di partecipare nel contesto culturale odierno e probabilmente dovranno essere diversi da quelli utilizzati nel passato: non si tratta dunque di replicare acriticamente modalità storiche di partecipazione, ma piuttosto di inventarne creativamente di nuove.
Non possiamo accontentarci di restare appollaiati sul nostro ramo a rimuginare e lamentarci; né possiamo limitarci a lanciare anatemi dialogando solo con i vicini di ramo. Abbiamo una bella sfida da raccogliere all’inizio del nuovo anno, anzi una doppia sfida: quella di trovare i modi giusti per partecipare e quella di avere il coraggio di verificarne costantemente l’efficacia, sennò a che serve la libertà?